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giovedì 17/10/2024 • 06:00

Fisco LA RISPOSTA DELLE ENTRATE

Rinuncia al credito: recupero IVA all’esito infruttuoso del fallimento?

In contrasto con l'orientamento della Corte di Cassazione, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che la rinuncia unilaterale al credito vantato nei confronti del fallimento non è un caso simile a quelli per i quali il cedente/prestatore può attivare la procedura di variazione dell'imponibile e dell'imposta.

di Marco Peirolo - Dottore commercialista e componente della Commissione IVA e altre imposte indirette CNDCEC

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L'Agenzia delle Entrate, con la risposta all'interpello n. 203 del 15 ottobre 2024, ha fornito un chiarimento diametralmente opposto alla conclusione raggiunta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 35518/2023, privilegiando un'interpretazione in chiave economica delle ipotesi di rettifica dell'imponibile e dell'imposta che si pone in contrasto con l'esegesi operata dalla giurisprudenza comunitaria, basata sull'aspetto finanziario.

Oggetto dell'interpello

L'istante è una società che vanta un credito nei confronti del cliente assoggettato a fallimento e, in assenza di concrete possibilità di recupero del credito, l'istante intenderebbe rinunciare allo stesso, con l'obiettivo di recuperare l'IVA anticipatamente rispetto alla conclusione della procedura.

All'Agenzia è stato, quindi, chiesto se, con la rinuncia unilaterale al credito vantato nei confronti del fallimento, sia possibile attivare la procedura di variazione in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta prevista dall'art. 26 c. 2 DPR 633/72, emettendo la relativa nota di variazione anteriormente al momento in cui il piano di riparto diventerà definitivo.

A favore di questa soluzione, l'istante è dell'avviso che la rinuncia volontaria al credito non sia dissimile dai casi di risoluzione, rescissione, annullamento, ovvero scioglimento per mutuo dissenso dell'originario contratto previsti dal citato art. 26 c. 2 DPR 633/72, per i quali il credito, per la parte rinunciata, non può essere in alcun modo soddisfatto dal debitore insolvente.

Dies a quo della variazione in diminuzione

A seguito delle novità introdotte dall'art. 18 DL 73/2021 (decreto “Sostegni-bis”), volte ad adeguare la disciplina della variazione in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria, è stato anticipato il “dies a quo” relativo alla variazione da parte del cedente/prestatore in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo da parte del cessionario/committente assoggettato ad una procedura concorsuale.

I novellati commi 3-bis e 10-bis dell'art. 26 DPR 633/72 stabiliscono, infatti, che, nell'ipotesi di cui sopra, la variazione dell'imponibile e dell'imposta può essere operata a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale, senza quindi attenderne l'esito infruttuoso della stessa. In particolare, la variazione è ammessa, a seconda della tipologia di procedura, dalla sentenza dichiarativa del fallimento, dal provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, dal decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo e dal decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Nel caso di specie, dall'interpello si desume che il fallimento è stato dichiarato prima del 26 maggio 2021 (data di entrata in vigore del decreto “Sostegni-bis”), sicché si applica la previsione dell'art. 26 c. 2 DPR 633/72, nel testo previgente, secondo cui, se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, il cedente/prestatore ha diritto di portare in detrazione, ai sensi dell'art. 19 DPR 633/72, l'imposta corrispondente alla variazione, annotandola nel registro degli acquisti.

Come indicato dall'Amministrazione finanziaria, la procedura concorsuale si è conclusa infruttuosamente, legittimando la variazione in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta  a partire da quando, per ciò che attiene al fallimento, è scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto stabilito con decreto dal giudice delegato; ovvero, in assenza del piano di riparto, a partire da quando è scaduto il termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento (C.M. n. 77/E/2000).

Orientamento dell'Agenzia delle Entrate

Nel caso oggetto della risposta n. 203/2024, l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la rinuncia unilaterale al credito che l'istante intende esercitare nei confronti del fallimento non possa essere assimilata a nessuna delle ipotesi elencate dall'art. 26 c. 2 del DPR 633/72, riguardanti la nullità, l'annullamento, la revoca, la risoluzione, la rescissione e simili.

Nel caso di rinuncia unilaterale all'incasso del credito, l'operazione economica originaria che ha determinato l'esercizio della rivalsa dell'imposta non viene meno in tutto o in parte, né se ne riduce l'ammontare imponibile. In altre parole, l'incasso del credito, cui l'istante intende rinunciare, riguarda il profilo meramente finanziario, non essendosi modificati i rapporti già conclusi, né essendo stata invocata alcuna clausola contrattuale risolutiva.

Nella disciplina anteriore alle modifiche operate dal decreto Sostegni-bis, applicabile nella fattispecie in esame, il mancato incasso costituisce presupposto per la variazione dell'imponibile e dell'imposta solo in presenza di una procedura concorsuale o esecutiva rimasta infruttuosa, con la conseguenza che la nota di variazione può essere emessa – in assenza di una specifica previsione contrattuale ovvero di un accordo sopravvenuto dei contraenti – solo all'esito finale infruttuoso della procedura concorsuale.

Come sopra esposto, nell'ipotesi del fallimento, ciò significa che la variazione può essere operata a partire da quando è scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto stabilito con decreto dal giudice delegato; ovvero, in assenza del piano di riparto, da quando è scaduto il termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento.

Orientamento della Corte di Cassazione

Ad una diversa conclusione è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35518/2023, ritenendo che la rinuncia unilaterale al credito vantato verso una procedura concorsuale legittima il cedente/prestatore ad emettere la nota di variazione in diminuzione nel presupposto che la rinuncia al credito configura un'ipotesi non diversa, da un punto di vista sostanziale, dai casi di risoluzione, rescissione, annullamento ovvero scioglimento per mutuo dissenso dell'originario contratto, rispetto ai quali il credito, in relazione alla parte rinunciata, non può essere in alcun modo soddisfatto dal cessionario/committente insolvente.

Ad avviso dei giudici di legittimità, l'art. 26 DPR 633/72, in coerenza con la disciplina armonizzata, non istituisce un catalogo chiuso dei casi di riduzione della base imponibile, che, quindi, non possono costituire casi tassativi.

Ciò che rileva è la circostanza che siano mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni (art. 185 Direttiva n. 2006/112/CE) e ciò può avvenire, esemplificativamente, nei casi previsti dalla norma, ossia annullamento (artt. 90 e 185 Direttiva n. 2006/112/CE), recesso o risoluzione (art. 90 Direttiva n. 2006/112/CE), riduzioni di prezzo (artt. 90 e 185 Direttiva n. 2006/112/CE) o mancato pagamento (artt. 90 e 185 Direttiva n. 2006/112/CE) o anche in casi simili (art. 26 DP.R 633/72).

La rinuncia unilaterale al credito costituisce un caso simile a quelli espressamente previsti dall'art. 26 c. 2 DPR 633/72, essendo ascrivibile ad una delle ipotesi di mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni, in quanto preclude l'assolvimento del credito da rivalsa nei confronti del cedente/prestatore.

Considerazioni 

In conclusione, la soluzione prospettata dal contribuente a favore della variazione ricalca palesemente la tesi della Cassazione, di cui però non si fa espresso riferimento.

Anche l'Agenzia delle Entrate non la richiama, privilegiando un'interpretazione delle ipotesi di rettifica fondata sui vizi contrattuali che fanno venire meno l'operazione economica originaria.

La norma comunitaria, come interpretata dalla Corte UE (causa C-717/19 e causa C-146/19), privilegia invece l'aspetto sostanziale (rectius, finanziario), legittimando la variazione quando la controprestazione, in tutto o in parte, non possa essere percepita in via definitivo. Ed è proprio quanto si verifica nel caso della rinuncia al credito.

La posizione dell’Agenzia andrebbe, quindi, rivisitata, fermo restando che la questione in esame si pone esclusivamente con riguardo alle procedure concorsuali aperte prima del 26 maggio 2021, posto che con la modifica operata dal decreto “Sostegni-bis” il termine iniziale della variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta viene anticipato alla data di apertura della procedura.

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