mercoledì 24/07/2024 • 12:00
Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2024 si ritorna a parlare di visto di conformità. La Corte ha chiuso la vertenza sul tema, dichiarando infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall'Associazione nazionale tributaristi – Lapet, sul rilascio del visto sulle dichiarazioni dei redditi.
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La vicenda parte dal Consiglio di Stato che nei mesi scorsi non aveva accolto un ricorso dell'Associazione Lapet in merito all'apposizione del visto di conformità ordinando la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Nello specifico veniva chiarito che non era possibile accogliere la richiesta avanzata dalla Associazione relativamente ad una interpretazione estensiva delle categorie ammesse al rilascio del visto di conformità, in quanto come emerge dalla norma, solo i professionisti individuati attraverso il richiamo della circoscritta previsione di norma regolamentare, possono considerarsi abilitati al rilascio del visto sulle dichiarazioni dei redditi.
Secondo il Consiglio di Stato, la pretesa avanzata dai tributaristi potrebbe trovare riconoscimento solo attraverso una declaratoria di incostituzionalità della norma primaria contenente il precetto normativo che preclude ai ricorrenti il rilascio del visto di conformità e quindi dell'art. 35 c. 3 D.Lgs 241/97 nella parte in cui abilita al rilascio del visto di conformità i soli professionisti indicati nelle lett. a) e b) del comma 3 dell'art. 3, del DPR 322/98 (Iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro) e non anche gli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e) tra cui rientrano i tributaristi
Punti principali della vicenda
Nella sentenza della Corte Costituzionale un primo riferimento viene posto all'art. 3 Costituzione. La disposizione censurata violerebbe il suddetto articolo, per lesione dei principi di ragionevolezza e di non discriminazione. Il rimettente osservava che il rilievo pubblicistico del visto di conformità, correlato all'attività di controllo spettante all'amministrazione finanziaria, esige che l'individuazione delle figure professionali abilitate al suo rilascio, risponda a ragioni di affidabilità e di competenza, ragioni che, non varrebbero a giustificare la riserva a favore dei soli professionisti iscritti negli albi e nei ruoli indicati alle lettere a) e b) del comma 3 dell'art. 3 DPR 322/98. L'ordinamento infatti, consentirebbe ai tributaristi, benché non iscritti, di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, nonché di trattare e conservare i dati contabili, rendendo così ingiustificata la loro esclusione dal rilascio del visto di conformità.
Sul punto la Corte ha ritenuto che la disposizione censurata, non è in violazione con l'art. 3 Costituzione in quanto la distinzione tra professionisti iscritti in ordini o collegi e professionisti non organizzati in ordini o collegi è ragionevole, e giustificata dall'esigenza di tutela degli interessi pubblici e dell'amministrazione finanziaria.
Altro riferimento viene posto alla L. 4/2013 la quale prevede la libera costituzione di associazioni professionali di natura privatistica con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza, e con i compiti di promuovere la formazione permanente dei propri iscritti, di vigilare sulla condotta professionale degli associati, e stabilire le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni. In questo caso, secondo la Corte la Legge n. 4/2013 disciplinante le professioni non organizzate, non ha equiparato le due categorie di professionisti sotto il profilo della garanzia di esercizio della professione nel possesso di requisiti di capacità e correttezza.
Infine vi è l'art. 35 c. 3 D.Lgs. 241/97, che violerebbe anche l'art. 41 Costituzione in quanto limiterebbe il libero esercizio dell'attività professionale, incidendo negativamente sulla libertà di iniziativa economica dei tributaristi, dovendo i singoli professionisti e le loro associazioni rappresentative essere considerate imprese ai sensi del diritto della concorrenza. I professionisti non iscritti agli ordini subirebbero uno sviamento di clientela verso i professionisti iscritti, anche per attività non riservate a questi ultimi, in contrasto con il principio di concorrenza. Sul questo punto la Corte ha stabilito che la disposizione non va contro il citato articolo 41, poiché i limiti all'esercizio della libertà di iniziativa economica sono giustificati dall'utilità sociale e non risultano arbitrari o incongrui rispetto alla finalità di garantire la corretta esecuzione dell'adempimento fiscale.
La stessa Corte ha inoltre escluso la violazione dell'art. 117 c. 1 Costituzione in relazione agli artt. 56 TFUE e 16 della direttiva 2006/123/CE, in quanto la disposizione censurata non riguarda situazioni transfrontaliere e, comunque è giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico e non eccede quanto necessario per raggiungerli.
In conclusione secondo la Corte Costituzionale non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, la stessa ha inoltre respinto anche l'intervento in giudizio del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, lo stesso era intervenuto in giudizio concludendo per la manifesta inammissibilità e, in subordine, per la non fondatezza delle questioni.
Le reazioni dei Commercialisti
In conseguenza della sentenza, si segnalano le pronte reazioni del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili affidate ad un comunicato stampa. Da segnalare il commento del Presidente nazionale Elbano de Nuccio il quale ha osservato, come, nella sentenza del Consiglio di Stato emerge che nessuna equiparazione è praticabile tra professionisti appartenenti al sistema ordinistico e coloro che non sono organizzati in ordini o collegi, in quanto la L. 4/2013 ribadisce il divieto per i professionisti non organizzati, anche se iscritti alle associazioni, di svolgere un'attività riservata dalla legge a specifiche categorie di soggetti. Gli ordini professionali sono configurati come “enti pubblici ad appartenenza necessaria” e la loro istituzione e disciplina, risponde all'esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso, affidando loro il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi al fine di garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell'affidamento della collettività. Essi costituiscono (continua il Presidente de Nuccio) organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale, connessi all'esercizio di attività professionali.
Tali poteri, funzioni e prerogative sono più estesi ed effettivi di quelli esercitati dalle associazioni previste dalla Legge n. 4 del 2013, in quanto sottoposti a diretta vigilanza da parte di organi statali e corredati da incisive potestà disciplinari nei confronti degli iscritti, che possono determinare, tra l'altro, la sospensione o la radiazione, con conseguente impossibilità (temporanea o definitiva) di esercitare legittimamente la professione, e quindi tutte le attività per cui è richiesta l'iscrizione all'albo.
In conclusione viene rilevato che le funzioni e le prerogative delle professioni ordinistiche, non possono essere confuse e in alcun modo equiparate a quelle di associazioni a carattere professionale.
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Marco Nessi
- Dottore Commercialista e Revisore LegaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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