lunedì 08/07/2024 • 06:00
In risposta alla sempre crescente esigenza di favorire il cd work life balance, il governo italiano si è recentemente soffermato sull’identificazione di un P S ad hoc dedicato al lavoro da remoto. Precisamente dedicato a: lavoratori da remoto e nomadi digitali.
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La norma di riferimento è l’art 27 comma 1, lett. q-bis) del Testo unico in materia di immigrazione, introdotta in pieno periodo covid dal DECRETO-LEGGE 27 gennaio 2022, n. 4. In effetti, è innegabile che il periodo pandemico abbia dato una notevole spinta allo sviluppo e, crescente, utilizzo dello smart working – qui seppure in parte impropriamente, ricomprendo nel calderone il lavoro da remoto (in modalità full remote o meno), lavoro agile, telelavoro, trattandosi pur sempre di modalità di svolgimento dell’attività lavorativa orientate ad un bilanciamento vita-lavoro.
Con decreto del 29 febbraio 2024, in vigore dallo scorso 4 aprile - denominato “Modalità e requisiti per l'ingresso ed il soggiorno dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea che svolgono un’attività lavorativa altamente qualificata attraverso l'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto” – il Governo ha voluto appunto dare forma e struttura a questa ipotesi di ingresso (fuori quota) in Italia.
Di seguito ci soffermiamo quindi sulle recenti disposizioni migratorie che suscitano interesse per cittadini di un Paese Terzo (alludendo così a qualsiasi Paese Extra Ue), che in qualità di lavoratori autonomi o dipendenti svolgano attività lavorativa qualificata e specializzata da remoto in Italia.
Prima di tutto definiamone la platea e rispondiamo al curioso quesito: chi sono i nomadi digitali?
Seppure nella nostra mente li immaginiamo accompagnati da tende mobili, pc a ricarica solare e zaino in spalla, la normativa li definisce all’art. 2 comma 3 come: gli stranieri “che svolgono attività di lavoro autonomo attraverso l'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto”. Parliamo quindi dei lavoratori autonomi.
D’altro canto, i lavoratori da remoto sono, ai sensi dell’art. 2, comma 4, coloro che “attraverso l'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto, svolgono attività di lavoro subordinato o di collaborazione secondo le modalità di cui all'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81” (che semplificando potremmo definire co.co.co.). Con specifico riferimento a questa categoria il decreto precisa che l’attività potrebbe essere svolta in Italia anche per conto di un’impresa non residente nel territorio nazionale.
Il decreto esamina nel dettaglio anche le connotazioni soggettive di cui nomadi digitali e lavoratori da remoto devono essere in possesso.
In particolare gli uffici preposti al rilascio dovranno verificare che il richiedente:
Anche il contratto di lavoro o l’offerta vincolante deve essere allegato alla richiesta. È necessario che questo documento evidenzi lo svolgimento in Italia di un’attività particolarmente elevata e qualificante.
A chiarimento di ciò, la norma richiama i requisiti richiesti per il rilascio della Carta Blu UE identificati all’art 27 quater del TUI - normativa aggiornata in Italia dal Dlgs. 152/2023 (decreto di recepimento della direttiva UE 2021/1883 concernente appunto la revisione dei requisiti per la richiesta della EU Blue Card). Pertanto, ne desumiamo che l’attività, nonché la platea interessata, debba essere connotata dai seguenti requisiti (come sul punto chiarito dalla circolare congiunta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Interno del 28 marzo scorso):
Tuttavia, al di là dei requisiti di ingresso (la cui indicazione era necessaria per orientarci) quel preme evidenziare è proprio l’intento di facilitare la mobilitazione di questi soggetti. Infatti, è previsto che, in presenza dei succitati requisiti:
Il permesso di soggiorno così ottenuto, che riporterà la dicitura “nomade digitale – lavoratore da remoto”, ha validità massima di un anno, rinnovabile, sempre per periodi di un anno, in presenza degli stessi requisiti necessari al primo rilascio.
Peraltro, il decreto prevede la possibilità di richiesta del ricongiungimento familiare per la medesima durata del permesso rilasciato.
In sostanza allora lo straniero può lavorare da remoto dall’Italia con la sua famiglia, senza, apparentemente, lungaggini delle pratiche migratorie.
Quali considerazioni sullo svolgimento dell’attività lavorativa world wide?
Si fanno innanzitutto evidenti alcune conseguenze e implicazioni previdenziali e fiscali:
Per i lavoratori da remoto, la società estera, con ogni probabilità non residente, potrebbe essere tenuta al versamento della contribuzione in Italia. Con riferimento ai nomadi digitali sarà necessario sciogliere questo nodo in considerazione anche della specifica attività svolta.
Da ultimo si rileva come questa tendenza a vedere l’attività lavorativa come svincolata dalla scrivania dell’ufficio aziendale, in netta contrapposizione con le precedenti convinzioni, si ravvisi anche in ambito comunitario. Ne è indice il framework agreement in materia di telelavoro transfrontaliero (Framework Agreement on the application of Article 16 (1) of Regulation (EC) No. 883/2004 in cases of habitual cross-border telework) sottoscritto da alcuni stati membri (Italia inclusa con decorrenza dall’anno in corso) che riesamina e deroga, in applicazione dell’art. 16 del Regolamento comunitario n. 883/2004, i criteri di definizione della legislazione (qui intesa come normativa previdenziale) applicabile al rapporto di lavoro. Il tutto anche qui nell’ottica di rendere più smart la mobilitazione del personale tra Stato ove ha sede l’impresa e Stato di residenza del lavoratore.
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