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sabato 29/06/2024 • 06:00

Speciali Segnalazioni in azienda

Dalla Cassazione nuovi limiti alla tutela del whistleblower

La Cassazione, con sentenza 27 giugno 2024 n. 17715, è tornata a occuparsi delle tutele applicabili ai whistleblowers; nella sentenza, la Corte chiarisce che il whistleblower non è autorizzato a compiere autonomi atti di indagine ma deve limitarsi a riportare fatti appresi nello svolgimento dell’attività lavorativa.

di Matteo Motroni - Avvocato, studio Ichino Brugnatelli e associati

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il caso in esame riguarda il licenziamento per giusta causa intimato ad una dirigente dell'Istituto Nazionale di Vulcanologie e Geologia per avere fatto illecitamente ricorso all'istituto della segnalazione previsto dalla normativa in materia di whistleblowing nonché, più in generale, per essersi resa responsabile di diverse condotte tese a gettare discredito sull'ente e sui suoi collaboratori e dipendenti.

Tutto partiva da una segnalazione con cui la dirigente in questione aveva formulato varie accuse nei confronti di un suo collega (un alto dirigente dell'istituto) chiedendo l'attivazione di un procedimento disciplinare a suo carico.

L'ente, dopo aver acquisito la relazione del responsabile anti-corruzione, aveva escluso che la segnalazione potesse essere considerata come rientrante nelle tutele previste dall'art. 54-bis del D.Lgs. 165/2001 applicabile ratione temporis in quanto non trasmessa secondo le modalità previste dal piano triennale anti-anti-corruzione; l'ente, inoltre, non ravvisava alcuna irregolarità a carico del segnalato.

Dopo aver appurato ciò, l'ente avviava un procedimento disciplinare a carico di colei che aveva effettuato la segnalazione, alla quale veniva contestato di aver fatto ricorso in modo improprio all'istituto del whistleblowing sia in considerazione delle modalità anomale e plateali di inoltro della segnalazione (che era stata indirizzata a svariate funzioni aziendali, addirittura con il segnalato in copia conoscenza, e non al canale di segnalazione interno adottato dall'ente), sia in ragione della non veridicità delle circostanze riferite nella segnalazione.

Alla dirigente veniva contestato anche di aver registrato di nascosto una conversazione che la stessa aveva intrattenuto con un docente universitario e collaboratore dell'istituto e di averne poi divulgato strumentalmente alcuni stralci mediante pubblicazione di un post su un noto sociale network, con modalità tali da far emergere la sua volontà di denigrare l'operato dell'istituto.

La Corte territoriale riteneva dirimente ed assorbente quest'ultimo addebito, che veniva considerato in sé sufficiente a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario e a giustificare il licenziamento, anche in considerazione della non episodicità del fatto (a quanto consta, infatti, la dirigente si era resa responsabile di analoghe condotte anche in passato).

La Corte, in verità, riteneva provati anche gli ulteriori addebiti relativi alla violazione della normativa in materia di whistleblowing, specie tenuto conto del fatto che la dirigente aveva deliberatamente scelto di non fare ricorso al canale di segnalazione interno, che prevedeva maggiori garanzie di riservatezza per il segnalato.

La chiara presa di posizione della Corte di Cassazione: il whistleblower deve limitarsi a segnalare fatti e circostanze appresi nello svolgimento dell'attività lavorativa, ma non può svolgere autonomi atti di indagine

La Corte di Cassazione, dopo aver richiamato il proprio orientamento che ammette l'utilizzabilità delle registrazioni delle conversazioni intrattenute con i terzi anche in assenza del previo consenso dell'interlocutore, ove funzionali ad assicurare tutela ad un diritto dell'interessato, si è concentrata opportunamente sulle peculiarità del caso di specie, evidenziando come, nel caso concreto, non fosse emersa alcuna prova della necessità difensiva vantata dalla dirigente (come evidenziato dalla Corte territoriale, doveva escludersi la possibilità di configurare un collegamento funzionale tra la registrazione e l'oggetto della segnalazione).

La condotta illecita

Chiarito questo aspetto, la Corte non ha potuto far altro che confermare la decisione assunta dalla Corte territoriale, che aveva ritenuto illecita la condotta della dipendente per avere acquisito la registrazione con modalità illecite e lesive della riservatezza del proprio interlocutore, per di più con l'aggravante della pubblicazione sui social network per il tramite di un profilo in cui veniva evidenziata la sua riconducibilità all'organico dell'istituto; alla luce di tutte queste circostanze, la Cassazione ha condiviso le conclusioni cui era giunta la Corte territoriale secondo cui “si era trattato di un'operazione complessivamente intesa solo a gettare discredito sui dipendenti INGV”.

Quale segnalazione merita tutela

Chiarito questo aspetto, la Corte di Cassazione ha escluso pure la possibilità di ritenere invocabili le tutele previste in favore del segnalante dalla normativa in materia di whistleblowing, in assenza di prova circa il collegamento funzionale tra la registrazione e le istanze rappresentate dalla dirigente nella sua segnalazione.

A tal proposito, la Cassazione ha opportunamente ricordato che l'istituto della segnalazione dovrebbe rispondere “… una duplice ratio consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall'altro, nel favorire l'emersione, dall'interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione”.

Se la segnalazione risponde a queste finalità, la legge correttamente prevede una serie di misure protettive a favore del whistleblower, prevedendo che questi non possa essere sanzionato, licenziato o discriminato per motivi collegati alla segnalazione.

Tuttavia, le tutele previste dalla legge in favore del whistleblower non possono essere estese in modo indiscriminato ad ogni ipotetica segnalazione; ragionando diversamente, si finirebbe per attribuire al segnalante una sorta di “impunità” che lo porrebbe al riparo da ogni tipo di ripercussione anche a fronte di segnalazioni avventate o addirittura formulate ad arte per perseguire propri interessi personali.

È per tale ragione, innanzitutto, che la legge (anche nella versione applicabile ratione temporis) limita la tutela del segnalante con riguardo ai fatti di cui egli “sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”; ciò significa, come è stato bene evidenziato dalla sentenza in esame, che la segnalazione può riguardare “solo informazioni acquisite nell'ambiente lavorativo” e non deve perseguire scopi essenzialmente di carattere personale del segnalante.

È vero dunque che il dipendente “virtuoso” che effettua segnalazioni deve essere tutelato; altrettanto vero però è che la segnalazione può riguardare solo fatti di cui il segnalante sia venuto a conoscenza nello svolgimento della sua attività lavorativa, e non invece circostanze apprese per effetto dell'esercizio di autonomi atti di indagine che, altrimenti, assumerebbero un vago contorno di stampo poliziesco.

Infatti, dall'esame della disciplina di legge emerge come la stessa “si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un'attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attività acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative in violazione dei limiti posti dalla legge” (cfr. anche Cass. Pen.,  sez. V, 21 maggio 2019 n. 35792).

La segnalazione corretta

Il whistleblowing, in definitiva, si conferma essere uno strumento da maneggiare con estrema attenzione.

La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione, infatti, ci insegna che la segnalazione non solo deve essere perfettamente “integra” sul piano sostanziale (non potendo chiaramente basarsi su fatti e circostanze inveritiere o perseguire interessi personali del segnalante) ma deve anche rispondere a precisi canoni formali e procedurali; un'eventuale violazione delle procedure (specie se intenzionale) può infatti essere considerata indice di un utilizzo strumentale o distorto dell'istituto, esponendo così il segnalante a enormi rischi sul piano sia sul piano disciplinare (come è avvenuto nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione) che su quello penale e civile. Ricordiamo infatti che la tutela penale e civile del whistleblower trova un limite a fronte di segnalazioni effettuate con dolo o colpa grave; il whistleblower può pertanto incorrere in responsabilità non solo nel caso in cui la segnalazione risulti fondata su fatti falsi ma nel caso in cui egli ponga in essere attività non lecite al fine di raccogliere gli elementi da inserire nella segnalazione.

Fonte:   Cass. 27 giugno 2024 n. 17715

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