martedì 18/06/2024 • 15:14
L'Agenzia delle Entrate, con Risp. 18 giugno 2024 n. 134, ha fornito chiarimenti in tema di soccida semplice e monetizzata, relativamente al trattamento ai fini IVA e delle imposte dirette.
redazione Memento
Alfa s.s. (Istante) riferisce di avere per oggetto esclusivo l'allevamento e l'ingrasso di bestiame oltre che la conduzione di fondi agricoli; rivestire, avendone i necessari requisiti soggettivi e oggettivi, la qualifica di imprenditore agricolo. La Società rappresenta altresì di aver sottoscritto, con decorrenza 1° aprile 2024 e per una durata indeterminata, un contratto di soccida non monetizzata con Beta S.r.l. per l'allevamento di vitelli da ingrasso, nell'ambito del quale quest'ultima riveste la qualifica di soccidario mentre l'Istante quella di soccidante. Alla fine di ogni ciclo, la Società acquista da Beta S.r.l. (in breve, 'Soccidario ') la quota di accrescimento a quest'ultima destinata per poi rivenderla direttamente al macello. Con riferimento al prospettato contratto, il Soccidante chiede quale sia il corretto trattamento ai fini delle imposte dirette e dell'IVA dell'operazione di vendita degli animali dalla stessa acquistati dal Soccidario, ovvero, quindi, della rivendita da parte del soccidante della quota di accrescimento spettante al soccidario e da questi cedutagli. Trattamento IVA Nella soccida monetizzata, le parti si accordano per la liquidazione forfetizzata e in denaro della quota di accrescimento spettante al soccidario, sicché non avviene la previa individuazione, determinazione e divisione dell'accrescimento tra soccidante e soccidario. Il soccidante preleva l'intero accrescimento, lo vende a terzi e provvede a corrispondere parte del ricavato al soccidario, nella misura previamente concordata. Poiché la divisione dell'accrescimento è un atto dichiarativo dell'acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame oggetto del contratto di soccida, nella soccida monetizzata, mancando questo momento, non avviene in capo al soccidario un acquisto a titolo originario della sua quota di accrescimento e pertanto nessuna cessione di beni, nel senso inteso dall'articolo 2 del Decreto IVA, può essere dallo stesso effettuata a favore del soccidante piuttosto che di un soggetto terzo. La quota dell'intero ricavato spettante al soccidario (c.d. monetizzazione) assume dunque la natura di utile e in quanto tale non è soggetta a IVA. Con riferimento alla spettanza e all'esercizio del diritto alla detrazione da parte del soccidario e del soccidante, occorre precisare che, quando entrambi rivestono la qualifica imprenditori agricoli cui consegue, al ricorrere dei presupposti, lo status di soggetto passivo IVA, il diritto alla detrazione spetta e va dagli stessi esercitato secondo le modalità di cui all'articolo 34 del Decreto IVA, fermo restando in ogni caso il rispetto dei principi di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto IVA, tra cui quelli di afferenza e inerenza. Nel prevedere, infatti, una detrazione forfettizzata per gli imprenditori agricoli, l'articolo 34 fa riferimento a «...la detrazione prevista nell'articolo 19...»: quanto a dire che dal rispetto dei principi ivi previsti non si può prescindere. Il principio dell'afferenza, come noto, preclude in linea generale la detrazione dell'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni attive esenti o fuori campo. Pertanto, nella soccida monetizzata, se il soccidario non effettua operazioni attive rilevanti ai fini IVA, limitandosi a percepire a titolo di utile la monetizzazione delle sue quote di accrescimento, non può detrarsi l'IVA assolta sugli acquisti, ancorché inerenti, perché 'a valle ' effettua operazioni fuori campo IVA e dunque non ci sono nemmeno «...cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell'allegata tabella A...» sul cui ammontare imponibile applicare le percentuali di compensazione previste dal citato articolo 34. D'altra parte se la monetizzazione della quota non inibisce in linea di principio l'acquisto dello status di imprenditore agricolo posto che tale profilo attiene ai rapporti interni tra gli associati e non all'attività d'impresa agricola. Una tale operazione interna, ancorché fatturata, non può, in sé, mai costituire operazione imponibile per la carenza del requisito della onerosità e del fine del conseguimento di introiti, traducendosi in una mera operazione, in forma di equivalente monetario, di riparto degli utili dell'attività d'impresa tra soccidante e soccidario'' (Corte di Cassazione, ordinanza 15764 del 2023 avente a oggetto un contratto di soccida monetizzata). Imposte dirette Ai fini delle imposte dirette, l'articolo 32 del TUIR, così come modificato dall'articolo 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, stabilisce che ''il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso''. Il successivo comma 2, lettere b) e c), considera come attività agricole rispettivamente ''l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno'' e ''le attività di cui al terzo comma dell'articolo 2135 del Codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali''. In via generale, va rilevato che la circolare n. 44/E del 15 novembre 2004, a commento delle disposizioni in materia di redditi agrari e della nuova formulazione del citato articolo 32, comma 2, del TUIR, chiarisce che ''la semplice conservazione, commercializzazione e valorizzazione, considerate autonomamente, non possono mai dar luogo ad attività connesse. Tanto si evince anche dalla relazione di accompagnamento al decreto ministeriale del 19 marzo 2004, in cui si afferma che dette attività (...) prese di per sé singolarmente non possono mai produrre reddito agrario ai sensi dell'articolo 32, comma 2, lettera c) del TUIR, bensì reddito di impresa ai sensi dell'articolo 56 del TUIR (...)''. La citata circolare, infatti, afferma che 'le attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli rientrano senz'altro nell'ambito di applicazione dell'articolo 32 del TUIR quando riguardano prodotti Fonte: Risp. AE 18 giugno 2024 n. 134
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