giovedì 06/06/2024 • 06:00
Si considera tempo effettivo di lavoro quello trascorso dalla timbratura del badge personale al tornello di ingresso fino al completamento della procedura di log on e viceversa dal compimento dell’operazione di log off fino alla timbratura del cartellino al tornello di uscita. A confermarlo è la Cassazione con sentenza 28 maggio 2024 n. 14843.
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Nel caso in esame la Corte d’appello territorialmente competente, nel rigettare l’appello proposto da una società di telefonia avverso la sentenza di primo grado, aveva confermato il diritto dei lavoratori ricorrenti a vedersi riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello trascorso dalla timbratura del badge personale al tornello all'ingresso fino al completamento della procedura di log on e viceversa dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del cartellino al tornello all'uscita. La Corte distrettuale aveva, altresì, riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello relativo alla procedura di spegnimento e di accensione del computer nella pausa pranzo.
La società soccombente decideva così di ricorrere in cassazione, affidandosi a quattro motivi, a cui resistevano con controricorso i lavoratori.
La società eccepiva, tra le altre, che:
La posizione della Corte di Cassazione
Investita della causa, la Corte di Cassazione ha, tra le altre, evidenziato che la Corte distrettuale, nel formulare la sua decisione, si è adeguata a quella che è l’interpretazione corrente e consolidata della normativa sull'orario di lavoro di cui al D.lgs. n. 66/2003 ed alle Direttive Comunitarie n. 93/104 e n. 203/88. Ciò in quanto essa ha fondato la sua pronuncia sul principio secondo il quale il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie.
Al riguardo la Corte di Cassazione ha anche richiamato il principio secondo cui “ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'art. 1, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha considerato orario di lavoro il tempo impiegato dai dipendenti di una acciaieria per raggiungere il posto di lavoro, dopo aver timbrato il cartellino marcatempo alla portineria dello stabilimento, e quello trascorso all'interno di quest'ultimo immediatamente dopo il turno)” (cfr. Cass. 13466/2017).
Calando questi principi nella fattispecie in esame, la Corte distrettuale ha, quindi, considerato come necessario e obbligatorio per i lavoratori fare il tragitto dall’ingresso fino alla postazione di lavoro e compiere ogni attività preliminare cui essi sono tenuti, prima, ai fini del log in, e, dopo, ai fino del log out.
Secondo la Corte di Cassazione, tale conclusione non può che ritenersi logica e fondata, poiché è la società datrice di lavoro ad aver:
La Corte di Cassazione ha, altresì, ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società sulla base del principio di diritto secondo il quale “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della Legge 92/2012 e del D.Lgs. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della Legge 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso, condannando la società al pagamento delle spese del giudizio.
Fonte: Cass. 28 maggio 2024 n. 14843
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