Le imprese sono chiamate a un ruolo sociale più ampio, nell'affrontare le nuove sfide socio-ambientali. Devono creare valore e benessere a lungo termine, promuovendo la sostenibilità integrale. Ciò significa garantire un aumento del benessere ambientale, sociale ed economico, e assicurare alle future generazioni una qualità della vita migliore. Il vecchio paradigma della gestione dell'impresa, basato sullo shareholdism, è stato ormai superato dai nuovi modelli di business sostenibili che integrano la sostenibilità nella loro strategia. Questi modelli pongono l'attenzione sugli obiettivi ESG o sulle finalità di beneficio comune. Con l'entrata in vigore della Corporate Sustainability Report Directive (CSRD) e l'approvazione della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), il cambiamento di paradigma è ormai realtà. L'impresa deve tenere in considerazione non solo gli interessi dei soci, ma anche di chi è portatore di interessi nei suoi confronti, come i creditori, i fornitori, i dipendenti, la comunità locale di riferimento, le istituzioni e le PPAA o gli investitori, passando così allo stakeholderism.
Società benefit e imprese ESG-oriented
In Italia questa significativa potenzialità nel creare cambiamento culturale imprenditoriale ha preso il via grazie alla legge di stabilità 2016, con l’introduzione del modello legale delle società benefit. Queste imprese hanno una "duplice finalità" nell'integrare nel proprio oggetto sociale una missione di beneficio comune, oltre allo scopo di dividerne gli utili. In tal modo, le società benefit perseguono uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, nei confronti di persone, comunità, territori, ambiente, beni, attività culturali e sociali, enti, associazioni e altri portatori di interesse, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente. La normativa benefit offre ampia libertà nella scelta delle finalità di beneficio comune e delle modalità concrete con cui realizzarle, purché siano perseguite nello svolgimento dell'attività economica e non come un fatto aggiuntivo e indipendente. Pertanto, il beneficio comune generato deve essere reale e tangibile e rispondere alle esigenze concrete della realtà in cui l'impresa opera, nonché agli obiettivi dell'impresa stessa, tenendo conto della mission, del modello di business e della catena del valore e del ruolo che l'impresa ricopre all'interno della comunità circostante.
Le società benefit hanno un approccio unico che le differenzia dalle altre imprese. Non si concentrano solo sull'obiettivo di massimizzare i profitti, ma si vincolano anche a creare un impatto positivo sulla società e sull'ambiente circostante bilanciando i diversi interessi. Una delle caratteristiche distintive è la "governance di sostenibilità", che prevede la nomina di un responsabile d'impatto e l'obbligo per gli amministratori di produrre una relazione annuale che valuti l'impatto dell'azienda sulle persone e sull'ambiente. Questa valutazione riguarda diverse aree, come il governo d'impresa, i lavoratori, gli altri portatori di interesse e l'ambiente. Le società benefit non si limitano a rendicontare i propri impatti, ma integrano la sostenibilità all'interno del proprio modello di business. In questo modo, sono da esempio e ispirazione per altre imprese, dimostrando che è possibile creare valore per gli stakeholders senza trascurare gli obiettivi economici. In sintesi, le società benefit adottano una logica di "dual purpose", che considera le finalità economiche e quelle di beneficio comune allo stesso livello, al fine di creare un impatto positivo sulla società e sull'ambiente.
Vista la crescente attenzione alle questioni di sostenibilità, il Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie ha pubblicato 6 Orientamenti societari 2023 ‘ESG e clausole di sostenibilità’. L'orientamento A.B.1 riconosce l'importanza di promuovere valori sociali ed etici all'interno delle imprese, senza compromettere il loro scopo di lucro. Le clausole statutarie che stabiliscono regole di sostenibilità e di etica rappresentano un impegno da parte delle aziende nei confronti della collettività e dell'ambiente. In questo modo, l'obiettivo di profitto si unisce alla salvaguardia di altri interessi, come la promozione del lavoro e il benessere dei dipendenti. Sono clausole inseribili anche nello statuto delle imprese che non adottino il modello legale benefit (ai sensi dell’art.1 legge, commi 376 e seguenti della Legge 208/2015).
L’integrazione dei fattori ESG nella attività di impresa è legittimata in quanto, anche tenuto conto dell’art. 41 comma 2 della Costituzione, non esiste alcun obbligo normativo per gli amministratori di avere cura solo dell’interesse dei soci alla massimizzazione del profitto. Le clausole che si limitano a collegarsi alla finalità lucrativa dell'impresa, senza prevalere né potersi integrare nell'oggetto sociale, operano solo sul piano della perimetrazione dell'attività economica che costituisce l'oggetto sociale. In altre parole, tali clausole stabiliscono i principi etici che devono guidare l'operato dell'organo amministrativo, le linee guida che l'organo amministrativo deve seguire e la preclusione di determinate strategie o categorie di operazioni che non rispondono a valori sociali condivisi. Ciò può includere strategie vincolanti, divieti su determinate operazioni e/o l'obbligo di consultare preventivamente gli stakeholders prima di adottare determinate decisioni. In breve, l'integrazione dei fattori ESG è fondamentale per assicurare che l'attività di impresa sia svolta in modo etico, responsabile e sostenibile.
Beneficio comune e clausole ESG: impatto sul riconoscimento dell’inerenza dei costi
La normativa benefit, da un lato, e le clausole ESG, dall’altro, pongono alcune riflessioni riguardanti il trattamento fiscale dei costi e degli oneri relativi alle attività a scopo benefico e ai costi ESG. Tuttavia, non esiste una disposizione fiscale che chiarisca il principio di inerenza, che non è mai stato esplicitamente definito dal legislatore. Questo solleva alcune criticità che dovrebbero essere prese in considerazione.
Prassi e giurisprudenza
Da un lato, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito in varie pronunce che l’inerenza di un costo non deve necessariamente essere correlata ai ricavi dell'impresa. Al contrario, deve essere più generalmente associata alle attività specificate nello scopo della società esplicitato nell’oggetto sociale e in vista delle quali l’ente societario è stato costituito e al cui esercizio i soci sono tenuti a concorrere.
Dall’altro, anche la giurisprudenza è unanime affermando che affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia deducibile è sufficiente che sia ampiamente correlato all’impresa stessa, ovvero che sia stato sostenuto per svolgere un’attività potenzialmente in grado di generare profitti.
Con l’ordinanza n. 34044 del 5 dicembre 2023, in linea generale, la Corte di Cassazione ha ribadito, che in tema di imposte sui redditi delle società (cfr. Cassazione, sentenza n. 24880/2022), la deducibilità di costi e oneri -come pure la detraibilità della relativa Iva (cfr. Cassazione, ordinanza n. 14858/2018 e sentenza n. 18904/2018) - richiedono l'inerenza all'attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale.
L’ordinanza n. 33568/2022 della Corte di cassazione conferma altresì che il principio di inerenza dei costi esprime una correlazione in concreto tra costi e attività d’impresa, che si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, a prescindere da valutazioni di natura quantitativa. L’antieconomicità di un costo, tuttavia, può fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza.
Il principio di inerenza, che si identifica nel vincolo tra la spesa sostenuta e l’attività d’impresa esercitata, indirettamente, potenzialmente o in proiezione futura, da un lato, definisce e, dall’altro, delimita l’area dei costi che concorrono al reddito imponibile, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa (Corte cost., 4 dicembre 2020, n. 262).
Considerazioni finali
Alla luce di questi orientamenti, si rafforza l’assunto secondo cui i costi sostenuti per perseguire il beneficio comune e che presentano un legame con l’attività d’impresa svolta, ‘garantito’ dalla previsione nell’oggetto sociale del proprio statuto, non rappresentano alcun profilo di rischio in relazione al principio di inerenza potendosi benefico comune e scopo di lucro considerare pariordinati. Ciò perché il beneficio comune e il fine di lucro potrebbero essere considerati pariordinati. Al contrario, i costi relativi alle clausole ESG e di sostenibilità potrebbero essere più difficili da giustificare, anche in termini di antieconomicità, in quanto sarebbero strumentali al fine di lucro e pertanto richiedono un'analisi accurata e il supporto di documentazione per dimostrare la ragionevolezza degli investimenti sostenuti. Questo deve essere in linea con una chiara strategia aziendale.