lunedì 27/05/2024 • 06:00
La Cassazione, con pronuncia 15 maggio 2024 n. 13368, chiarisce che, quando la sede legale di una società è trasferita all’estero nei tre mesi antecedenti all’istanza di fallimento, per dimostrare l’avvenuto spostamento del suo centro di interessi principali non basta la conferma che i suoi interessi siano gestiti all’estero, ma si deve anche provare che ciò è riconoscibile dai creditori.
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Nell'aprile 2017 una S.r.l. delibera di trasferire la propria sede legale in Bulgaria. Il mese successivo la società si iscrive come OOD (i.e. S.r.l. di diritto bulgaro) nel Registro delle imprese bulgaro e, quindi, nel settembre 2017 la delibera di trasferimento della sede legale all'estero viene iscritta nel Registro delle imprese italiano. Medio tempore, però, su ricorso di un creditore il Tribunale di Benevento pronuncia la sentenza di fallimento della società.
Contro tale sentenza propone reclamo un socio della OOD (ex S.r.l.), sull'assunto che, per un verso, lo spostamento della sede legale in Bulgaria avrebbe caducato la giurisdizione del giudice italiano e, per altro verso, la notifica del ricorso del creditore via Pec alla società in corso di cancellazione dal Registro delle imprese italiano sarebbe tamquam non esset, con conseguente nullità della sentenza per difetto del contraddittorio.
La Corte d'Appello respinge il reclamo; il socio, dunque, investe della questione la Cassazione.
Nel pronunciarsi con l'ordinanza in commento, il giudice di legittimità coglie l'occasione per fare il punto sull'applicazione del cd. criterio del COMI (“Centre of Main Interest”, i.e. centro degli interessi principali) per la determinazione della competenza giurisdizionale a pronunciare l'apertura di procedure di insolvenza transfrontaliere, nonché sul relativo onus probandi, anche alla luce degli arresti della giurisprudenza europea.
La decisione della Cassazione
Con il primo motivo di ricorso, il socio sostiene che la Corte d'Appello avrebbe errato nel non applicare la presunzione di cui all'art. 3, par. 2, Reg. UE 2015/848, secondo cui il COMI della società si trova presso la sua sede legale, nel caso di specie trasferita in Bulgaria; inoltre, afferma che, a prescindere dall'applicazione della presunzione, vi sarebbero stati comunque elementi sufficienti da cui desumere che il COMI della società non era più in Italia, bensì in Bulgaria.
Ricostruita la normativa europea sul COMI contenuta nel Regolamento UE n. 2015/848 sull'insolvenza transfrontaliera, la Cassazione ha gioco facile nel confermare la non operatività della presunzione ex art. 3, par. 2 alla fattispecie in esame.
I giudici di legittimità, infatti, osservano che, se è vero che “per le società … si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale”, d'altro canto il periodo immediatamente successivo dell'art. 3, par. 2 precisa che “tale presunzione si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre mesi precedente la domanda di apertura della procedura d'insolvenza”.
Ebbene, poiché nel caso di specie la sede legale della società fallita non era stata spostata in Bulgaria prima dei tre mesi antecedenti all'istanza di fallimento del creditore, la Cassazione conferma l'inoperatività della presunzione ex art. 3, par. 2, del Regolamento. Tale conclusione, peraltro, – osservano i giudici di legittimità – è coerente anche con la normativa interna italiana, che all'art. 9, co. 5, l. fall. sancisce l'irrilevanza del trasferimento della sede dell'impresa all'estero, quando è avvenuto dopo il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Così esclusa la presunzione, la Cassazione passa a valutare se il ricorrente abbia fornito la prova dello spostamento del COMI della società fallita in Bulgaria prima dell'istanza di fallimento.
Anzitutto, dunque, i giudici di legittimità concentrano il focus sull'aspetto che “pervade, letteralmente, la normativa unionale di riferimento”, vale a dire: la necessità che il COMI del debitore, per essere tale, deve essere riconoscibile dai creditori sulla base di dati empirico-fattuali; necessità che, naturalmente, è ancor più intensa nei casi in cui il debitore abbia trasferito la propria sede all'estero nell'imminenza del deposito di un ricorso per l'apertura della procedura di insolvenza. La ratio della previsione, infatti, è quella di contrastare fenomeni di insolvency tourism, che possano spingere il debitore a tentare in maniera pretestuosa o fraudolenta di spostare il luogo di gestione dei propri interessi nei momenti di crisi o insolvenza al fine di ostacolare iniziative dei creditori.
La Cassazione, dunque, afferma il principio secondo cui “ai fini della individuazione della "competenza giurisdizionale" nell'area esclusa dalla presunzione relativa di coincidenza del COMI con la sede legale del debitore, in presenza di un suo trasferimento intervenuto nel trimestre antecedente l'iniziativa del creditore … l'onere della prova del debitore verte non tanto e non solo sulla effettività del trasferimento dal punto di vista delle misure organizzative interne adottate … quanto sulla abitualità e riconoscibilità, da parte dei terzi, del luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi, questa essendo la nozione - ad evidente rilevanza esterna - del COMI”.
Applicando tale principio alla fattispecie in esame, la Corte esclude che al momento dell'istanza di fallimento il COMI della società fallita fosse in Bulgaria, in quanto a quella data la delibera di trasferimento della sede legale non era stata neppure iscritta presso il Registro delle imprese italiane, non essendo dunque opponibile ai creditori.
Da ciò discende la reiezione anche degli ulteriori due motivi di ricorso; con particolare riferimento al secondo, infatti, la Cassazione osserva che la notifica del ricorso ex art. 6 l. fall. è validamente compiuta a mezzo pec ai sensi dell'art. 15 l. fall. anche se la società si era iscritta al Registro delle imprese bulgaro, dal momento che l'iter di trasferimento all'estero non si era ancora compiuto ed essa risultava ancora validamente iscritta al Registro delle imprese italiano.
Conclusioni
La pronuncia in commento ha il pregio di chiarire il regime probatorio relativo al COMI, sancendo in modo adamantino che – come affermato dai giudici della Corte di Giustizia nei casi Interedil e Eurofood – il debitore non può limitarsi a dimostrare quale sia il luogo in cui gestisce i propri interessi, dovendo invece fornire la prova che tale luogo sia oggettivamente riconoscibile come tale dai suoi creditori. In questo senso, la Cassazione sembra compiere un passo avanti rispetto a precedenti arresti in cui, invece, pareva ritenere che nei casi di trasferimenti prossimi all'istanza per l'aperura di procedure di insolvenza la prova dovesse vertere sull'abusività del trasferimento stesso e sulla natura simulata del trasferimento: ben potrebbe essere, infatti, che le misure organizzative interne abbiano effettivamente spostato il centro di gestione del debitore, senza che tuttavia ciò sia oggettivamente percepibile per i creditori. Detto in altre parole: non vale l'equazione “effettivo spostamento della gestione = spostamento del COMI”.
Ferma l'innegabile condivisibilità del principio di diritto, e la sua utilità anche in prospettiva (basti considerare che il Legislatore del Codice della Crisi ha codificato il principio del COMI nell'ordinamento interno italiano – cfr. artt. 2, co. 1, lett. m, 26 e 27), in senso moderatamente critico si può tuttavia osservare che, data l'assoluta particolarità del caso di specie, non sarebbe stato neppure necessario pronunciarsi sul contenuto dell'onus probandi per le ipotesi in cui non opera la presunzione di coincidenza tra il COMI e la sede legale: all'epoca dell'istanza di fallimento, infatti, il trasferimento della sede legale in Bulgaria non era ancora efficace, in quanto non iscritto nel Registro delle imprese italiano. A rigore, dunque, si può ritenere che la presunzione di cui all'art. 3, par. 2 del Regolamento UE n. 2015/848 operasse, anche se nel senso opposto a quanto indicato dal ricorrente: al momento dell'istanza di fallimento, infatti, la sede legale della società era ancora a tutti gli effetti in Italia.
Fonte: Cass. 15 maggio 2024 n. 13368
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