venerdì 24/05/2024 • 06:00
Nuovo orientamento della Cassazione che, con ordinanza 15 maggio 2024 n. 13360, si pronuncia sulla disciplina delle impugnazioni nel procedimento della correzione di errori materiali contenuti nello stato passivo. Il decreto di correzione non è impugnabile né con ricorso straordinario per cassazione né con reclamo.
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L'ultimo comma dell'art. 98, l. fall. (ora art. 206, sesto comma, CCI) disciplina il procedimento di correzione degli errori materiali contenuti nello stato passivo in maniera simile a quanto previsto dagli artt. 287 ss. c.p.c., ma tace sulla disciplina delle impugnazioni in tale procedimento e, nello specifico, sull'impugnazione del provvedimento di correzione.
La questione è rimasta oggetto di discussione, innanzitutto in dottrina; ora con l'ordinanza in commento la Corte di Cassazione prende posizione e detta le regole.
Il caso
Vediamo prima in sintesi la vicenda sottoposta al giudizio della Corte di Cassazione.
La società ricorrente presenta domanda di ammissione allo stato passivo per € 549.897,81, oltre interessi exD. Lgs. n. 231/02 e il giudice delegato ammette il credito della ricorrente allo stato passivo per l'importo di € 549.897,81 “come richiesto”, specificando ulteriormente che tale importo “deve ritenersi comprensivo degli interessi sulla somma ammessa, come richiesti”.
La società ricorrente chiede al giudice delegato la correzione dell'errore materiale contenuto nel decreto di esecutorietà dello stato passivo ai sensi dell'art. 98 l. fall., poiché, a suo avviso, il giudice delegato avrebbe errato nell'indicare l'importo nello stato passivo: la società, infatti, ritiene che il giudice avrebbe indicato una somma inferiore (€ 549.897,81 comprensivi di interessi) a quella realmente ammessa (€ 549.897,81 oltre interessi).
Il giudice delegato non condivide la tesi della società ricorrente, poiché sostiene che l'ammissione del credito pari ad € 549.897,81 sia chiaramente comprensiva degli interessi e che l'errore risieda nella statuizione “come richiesti” riferita al credito ammesso a titolo di interessi. Di conseguenza, corregge lo stato passivo di sua autonoma iniziativa, disponendo l'eliminazione di tale inciso dal decreto di esecutività dello stato passivo.
La società ricorrente propone reclamo ex art. 26 l. fall. al Tribunale contro predetto provvedimento, chiedendo, previa revoca della statuizione impugnata, “la correzione del progetto di riparto parziale con conseguente indicazione del proprio credito nella misura di complessivi € 775.795,08” che le era stato comunicato nel frattempo.
Il Tribunale respinge il reclamo con decreto, affermando che il progetto di riparto parziale, in assenza di reclami proposti nel termine di cui all'art. 110 l. fall., era stato dichiarato esecutivo e di conseguenza era divenuto definitivo.
La società ricorrente presenta ricorso per cassazione contro tale provvedimento, lamentando la violazione dell'art. 98, ultima comma, l. fall., poiché il Tribunale non avrebbe provveduto sull'istanza di correzione di errore materiale, avendo dichiarato la decadenza dal reclamo per decorso di un termine non applicabile all'istanza proposta.
La Cassazione
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile; nondimeno, ritiene di correggere la motivazione del decreto impugnato ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c..
La Corte di Cassazione, infatti, afferma che il procedimento di correzione degli errori materiali previsto dalle norme fallimentari deve essere reso coerente con la disciplina generale prevista dal codice della procedura civile per la correzione di un errore materiale di una sentenza o ordinanza non revocabile(artt. 287 s. cod. proc. civ.) e che, pertanto, i principi ivi sviluppati e pronunciati (oramai da considerarsi consolidati) devono trovare applicazione al procedimento disciplinato dall'art. 98, ultimo comma, l. fall..
In conseguenza di ciò, la Corte di Cassazione puntualizza che:
Oggi, sotto il vigore del CCI, è l'art. 206, sesto comma, a disciplinare il procedimento della correzione degli errori materiali contenuti nello stato passivo, riprendendo il modus operandi della precedente legge fallimentare. Dunque, nulla impedisce di ritenere che le conclusioni della Corte di Cassazione sopra illustrate debbano trovare applicazione anche nell'ambito della valenza del CCI.
Fonte: Cass. 15 maggio 2024 n. 13360
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