sabato 18/05/2024 • 06:00
La Consulta sembrava aver definitivamente chiuso alla deducibilità IMU dall'IRAP. Tuttavia, secondo la CGT I di Reggio Emilia non è manifestamente infondata la questione di legittimità stante l'incoerenza con la struttura del tributo regionale. La questione ritorna, quindi, alla Consulta.
Un “passo indietro” Con l'articolo 14, comma 1, del d.lgs. 23/2011 era stata inizialmente prevista l'indeducibilità dell'IMU dalle imposte sui redditi e dall'IRAP. Il legislatore, con successivi interventi normativi, è giunto a codificare la progressiva totale deducibilità IMU dalle imposte sui redditi a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021, limitatamente a determinate tipologie di immobili (strumentali per natura o destinazione) posseduti da imprese e professionisti. Parallelamente ha sempre confermato l'indeducibilità del tributo ai fini IRAP. Gli interventi della Consulta Con la sentenza n. 262 del 4 dicembre 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato, per il periodo d'imposta 2012, l'illegittimità costituzionale della sopracitata norma nella parte in cui non consentiva la deducibilità dell'IMU sugli immobili strumentali «rappresentando un costo fiscale inerente alla produzione del reddito». Tuttavia, con tale pronuncia la Consulta non dichiarava la consequenziale illegittimità costituzionale delle disposizioni vigenti per i periodi d'imposta successivi valorizzando la circostanza che il legislatore avesse gradualmente riconosciuto la deducibilità parziale fino a prevedere la totale deducibilità del tributo a partire dal 2022. Così si esprimeva l'organo di costituzionalità: “il legislatore si è gradualmente corretto […] fino a giungere alla virtuosa previsione, certamente non più procrastinabile, della totale deducibilità a partire dal 2022”. La prassi dell'Amministrazione finanziaria è stata, quindi, quella di attribuire al predetto inciso della Consulta la volontà di far salve le versioni successive della norma agevolativa. Le istanze di rimborso presentate dai contribuenti in relazione alle annualità dal 2021 a ritroso hanno stimolato il dibattito giurisprudenziale sfociato in alcune ordinanze di rimessione pronunciate dalle Corti di merito (n. 1158 del 7 dicembre 2022 CGT I di Genova - anni d'imposta dal 2014 al 2018; n. 52 del 17 gennaio 2023 CGT I Como: anni d'imposta dal 2019 al 2021), n. 850 del 15 settembre 2023 CGT I Torino - anni d'imposta dal 2014 al 2018) in cui i giudici tributari hanno dubitato della tenuta costituzionale, in relazione al principio di capacità contributiva (art. 53, Cost.) delle disposizioni normative successive che hanno gradualmente consentito la parziale deducibilità dell'imposta dal momento che - per tale via - non viene ad essere inciso un “presupposto economico effettivo” sebbene ai fini del prelievo IRES i “costi e gli oneri sostenuti, ove presentino i requisiti di inerenza, certezza e di oggettiva determinabilità, devono necessariamente poter essere dedotti dalle entrate lorde”. I giudici remittenti sottolineavano la potenziale irragionevolezza della previsione di indeducibilità parziale, dal momento che - sulla scia di quanto già rilevato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza del 2020 – forme di deducibilità parziale o forfetaria dei costi d'impresa (inclusi quelli fiscali) possono trovare una giustificazione unicamente laddove dirette a scongiurare “indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza”, “ingenti costi di accertamento” ovvero “fenomeni di evasione o elusione”, ipotesi, queste, che, tuttavia, non appaiono integrate nel caso dell'IMU, trattandosi di un tributo (un costo) relativo a “beni al sole, difficilmente sfruttabili per manovre evasive, elusive o erosive” (così sempre nella medesima sentenza del 2020). Con la sentenza n. 21 del 20 febbraio 2024 (presidente Barbera, redattore Antonini), la Corte Costituzionale non ha accolto le questioni di legittimità sollevate sulla deducibilità solo parziale dell'IMU dall'IRES in quanto i rilievi proposti sono stati ritenuti inammissibili per “assenza di motivazioni”. Tuttavia, l'organo costituzionale sembrava aver “chiuso le porte” alla deducibilità dell'IMU dall'IRAP mettendo in evidenza la diversità, per natura e per sostanza, fra le due imposte. I giudici hanno osservato come l'imposta regionale rientri tra le imposte «che assumono a loro fondamento una nozione di capacità contributiva che supera il legame con i più tradizionali indici come il patrimonio e il reddito». L'IRAP è stata applicata su «un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione». In particolare, la Corte ha sottolineato come l'IRAP trovi «la sua specifica giustificazione nella manifestazione di una capacità produttiva derivante dal potere di organizzazione e coordinamento dei fattori della produzione», al punto che ovviamente l'IRAP può arrivare a «poter colpire anche attività in perdita, purché si sia generato un valore aggiunto riferibile alle attività autonomamente organizzate» (ipotesi impossibile nel caso dell'IRES). A titolo esemplificativo e al fine di far emergere la differenza sui meccanismi applicativi, la Corte Costituzionale ha fatto riferimento alla formulazione originaria dell'IRAP che non annoverava in alcun modo fra i costi da scorporare alcuni di quelli del personale, «con una radicale differenza rispetto a quanto avviene per la determinazione della base imponibile dell'IRES, dove, in base al principio di inerenza, tale esclusione non sarebbe concepibile». La tesi sostenuta per il coinvolgimento dell'IRAP Per sostenere la portata estensiva del principio affermato dalla Consulta del 2020 in tema di IRES anche ai fini IRAP si è fatto riferimento alla stessa disciplina istitutiva del tributo regionale (d.lgs. 446/1997), secondo la quale «l'imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione» e la base imponibile è determinata «dalla differenza tra il valore e i costi della produzione». Secondo tale tesi, non possono esservi dubbi che l'IMU relativa ai beni strumentali dell'impresa debba essere considerato un “costo della produzione” e, quindi, deducibile dalla base imponibile IRAP. La nuova rimessione alla Consulta I giudici territoriali “giustificano” la nuova ordinanza di rimessione in quanto con la sentenza n. 21/2024 la Corte Costituzionale si sarebbe limitata a far emergere la differenza tra i meccanismi applicativi delle due imposte. Secondo i giudici emiliani, l'indeducibilità dell'IMU dalla base imponibile IRAP genera un valore della produzione non effettivamente prodotto che non è in alcun modo suscettibile di essere destinato alla remunerazione dei fattori della produzione. A titolo esemplificativo, l'ordinanza di rimessione evidenzia la disparità di trattamento che si verifica tra l'imprenditore che utilizza in locazione un fabbricato strumentale e quello che, invece, ne è proprietario: nel primo caso, secondo le prassi economiche, l'importo dell'IMU viene traslato sull'inquilino nella veste di canone di locazione, risultando quindi deducibile ai fini IRAP; nel secondo caso, invece, ciò non si verifica. Fonte: CGT I Reggio Emilia 9 maggio 2024 n. 123
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- Dottore Commercialista e Revisore Legale in TorinoRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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