lunedì 06/05/2024 • 06:00
Il licenziamento per giusta causa del dipendente che abbia sottratto beni aziendali di modico valore sconta una serie di variabili che incidono sulla valutazione della proporzionalità tra la condotta posta in essere e la sanzione disciplinare.
Ascolta la news 5:03
Al cospetto di una sentenza che si pronuncia sul (ricorrente) tema del licenziamento motivato dalla sottrazione di un bene aziendale, viene istintivo ricercare, dapprima, la descrizione del bene sottratto, per orientarsi nella lettura della pronuncia.
Come se esistesse una misura (o prezzario), che permetta di definire, e contenere, la soglia del “modico valore”, ed oltre la quale il medesimo valore comincia ad essere “modesto”, “apprezzabile”, “considerevole” o “elevato”.
È l'approccio sbagliato, e anche l'eventuale raffronto tra il valore dei beni che hanno indotto il licenziamento nei casi di specie esaminati nelle diverse sentenze, non permette di fissare punti fermi, soprattutto sulla soglia del modico valore, e sulle conseguenze del furto di beni di tale natura.
Sul tema, infatti, si fronteggiano da tempo almeno due diversi orientamenti.
Il contrasto giurisprudenziale
Secondo un primo orientamento “l'accertamento della mancanza addebitata al lavoratore, la valutazione della gravità di essa e il giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione inflitta debbono essere effettuati dal giudice del merito non già in astratto ma con specifico riferimento alla posizione delle parti nel rapporto di lavoro, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni e, infine, all'entità della mancanza considerata non soltanto nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specialmente in relazione alle particolari circostanze in cui è stata posta in essere e all'intensità dell'elemento intenzionale e colposo” (Cass. n. 11163/1995).
Sulla scorta del principio sopra esposto è stato ritenuto illegittimo “il licenziamento del cassiere che ruba qualche spicciolo dalla cassa…perché risulta essere una misura sproporzionata rispetto al danno subito dal datore di lavoro” (Cass. n. 17739/2011).
Alla base di tale orientamento, il presupposto che ogni condotta debba essere valutata nel contesto di riferimento: il giudice, al fine di verificare la congruità del licenziamento, dovrà dunque analizzare il momento storico, le condizioni e le ragioni che hanno portato il lavoratore a porre in essere un determinato comportamento, nonché il danno che ne è scaturito. Tale valutazione dovrà essere effettuata “tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed alla sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia” (Cass. 22 marzo 2010, n. 6848).
Per dirla con le parole della stessa Suprema Corte, “la valutazione del giudice in punto di proporzionalità della sanzione disciplinare nel caso in cui al lavoratore sia contestata la sottrazione di beni della datrice di lavoro, come nella fattispecie che ci occupa, non può esaurirsi nella constatazione della tenuità del valore del bene sottratto” (così Cass. 26 settembre 2023 n. 27353 e Cass. 23 maggio 2018, n. 12798).
Secondo un diverso orientamento, invece, e sempre indipendentemente dal valore dei beni aziendali sottratti “la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all'eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda” (Cass. 12 ottobre 2017, n. 24014; Cass. 3122/2015, e Cass. 19684/2014).
Ciò, poiché “la sottrazione di beni aziendali […] mina in radice l'affidamento del datore di lavoro, in quanto oltre a rilevare sul piano degli obblighi fondamentali del rapporto si riflette negativamente sull'immagine del datore di lavoro” (così Cass. 12 settembre 2016 n. 17914, il cui protagonista era il portiere di un albergo di lusso, licenziato, in modo ritenuto legittimo, per aver sottratto copie di quotidiani destinati alla clientela). Non diversamente dallo sfortunato ricorrente di Cass. n. 24014/2017 cit., che ha fatto “scatta(re) l'allarme antitaccheggio al momento del suo passaggio nella portineria del Supermercato ove prestava servizio, ed era stato trovato in possesso di confezioni di gomme e di caramelle del valore complessivo di Euro 9.80”.
Detto altrimenti, secondo quest'ultimo orientamento nell'ipotesi in cui il lavoratore si impossessi indebitamente di beni aziendali, il vincolo fiduciario dovrà ritenersi leso a prescindere dal valore economico dei beni, e “la tenuità del danno causato al datore è irrilevante ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, venendo in considerazione la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”.
Un'ulteriore variabile: lo stato di necessità
A complicare un panorama già controverso, si aggiunge una variabile che occorre tenere in considerazione da ambo le parti: la necessità del bene di cui il dipendente si impossessa, seppur, in apparenza, indebitamente.
La sentenza di Cassazione del 27 maggio 2022, n. 17288 ha decretato la definitiva vittoria (dopo un “percorso netto”) del dipendente reo di aver “prelevato uno snack dall'espositore adiacente alla cassa ove operava e di averlo mangiato, senza pagare il corrispettivo”.
Seppure il dipendente fosse già stato destinatario di due precedenti disciplinari richiamati nella lettera di contestazione, “dalla dinamica dei fatti non emergeva alcuna cautela frodatoria da parte del lavoratore il quale in modo visibile e senza allontanarsi dalla sua postazione lavorativa non aveva posto in essere alcun particolare accorgimento atto ad occultare il suo gesto”, che aveva “imputato a leggerezza ed al suo bisogno continuo di assumere sostanze zuccherine perché soggetto a frequenti crisi ipoglicemiche”.
Per la Suprema Corte, si trattava di “concrete circostanze di fatto che deponevano per un complessivo "ridimensionamento" dell'episodio ed in particolare per una prognosi favorevole circa il futuro corretto adempimento da parte del dipendente degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro” (così Cass. 17288/2022 cit.).
Allo stesso modo, il Tribunale di Monza, con sentenza del 25 febbraio 2021, si è trovato a decidere sulla legittimità dell'impossessamento - da parte del dipendente di un'azienda della grande distribuzione, e durante l'emergenza sanitaria da Covid-19 - di una confezione di cinquanta mascherine protettive che il datore di lavoro aveva messo a disposizione di tutti i dipendenti costretti a svolgere la propria attività presso i locali aziendali, malgrado l'emergenza in corso.
Il furto avveniva in un momento storico in cui la diffusione del Covid-19 era dilagante ed era difficile per chiunque riuscire a reperire sul mercato mascherine protettive.
Secondo la tesi del ricorrente, il valore del bene sottratto era esiguo (circa € 30,00) ed egli, in diciannove anni di rapporto, non era mai stato destinatario di un provvedimento disciplinare. Il datore di lavoro, per contro, sosteneva che al di là del valore economico del bene sottratto alla Società, il comportamento posto in essere avesse irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario tra le parti, anche in ragione dell'inquadramento del dipendente.
Il Tribunale di Monza aderiva al primo degli orientamenti descritti, e dichiarava la sproporzione del licenziamento intimato.
Nell'ordinanza si legge che “la valutazione complessiva …indica l'assenza di elementi che possano giustificare la condotta posta in essere dal ricorrente. Per cui il fatto contestato sussiste ed è disciplinarmente rilevante. Tuttavia, la sanzione irrogata appare sproporzionata rispetto all'addebito, che sembra meritevole di sanzione conservativa, anche sospensiva”. Secondo il Tribunale di Monza, infatti, “le mascherine non sono un bene aziendale qualsiasi, si tratta di dispositivi di protezione individuali utilizzati durante una pandemia e all'epoca dei fatti reperibili soprattutto dal privato con difficoltà”.
In tale contesto, dunque, il datore di lavoro avrebbe dovuto considerare anche l'ulteriore elemento della particolare difficoltà a reperire il bene oggetto della sottrazione, e il procedimento disciplinare avrebbe dovuto concludersi con una sanzione conservativa.
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Approfondisci con
Il licenziamento per giusta causa, disciplinato dall'art. 2119 c.c., è una forma di licenziamento immediato, senza preavviso, che può essere effettuato dall'azienda in caso di comportamento gravemente lesivo degli inter..
Paolo Mancinelli
Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.