giovedì 02/05/2024 • 06:00
L'agevolazione spettante agli “impatriati” costituisce una modalità di applicazione dell'imposta e non un'opzione, ossia una scelta tra due regimi. Lo ha stabilito la CGT II Lombardia con sentenza 19 aprile 2024 n. 1118.
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Il caso
La controversia scaturiva dal mancato riconoscimento ad una contribuente dello status di “impatriata” e del conseguente rimborso della maggiore Irpef pagata per l'anno d'imposta 2021. Secondo l'Agenzia delle Entrate il rimborso non spettava sia per le modalità seguite dalla contribuente per richiederlo sia per la presenza di una sostanziale continuità contrattuale tra il periodo di distacco all'estero e il rientro in Italia. In particolare, la contribuente, per effetto di un contratto di distacco, aveva lavorato, quale quadro, presso la sede spagnola con un contratto prorogato due volte, periodo nel quale (2018-2020) ella aveva stabilito la propria residenza all'estero, iscrivendosi all'AIRE. A riprova dell'effettiva permanenza in Spagna, la contribuente documentava di avere preso in affitto un immobile, di avere stipulato una polizza sanitaria, di avere acceso a un conto corrente presso una banca spagnola e di avere ivi sottoscritto un abbonamento ai mezzi pubblici di trasporto. Nel gennaio 2021 rientrava in Italia avendo accettato dalla precedente azienda un contratto da dirigente all'interno della funzione del Controllo di Gestione. Ritenendo, pertanto, di possedere tutti i requisiti di accesso al regime di favore, presentava preventivamente istanza di interpello.
La posizione del fisco
All'Interpello (n. 904-983/2021) la direzione regionale delle entrate rispondeva negativamente asserendo che, sulla base sia del nuovo contratto stipulato al momento del rientro in Italia che del precedente accordo di distacco, la posizione lavorativa assunta dall'istante al rientro in Italia si poneva in continuità con la precedente posizione lavorativa, nonostante la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro con la società italiana. Pertanto, non riscontrandosi il requisito della “discontinuità lavorativa”, doveva ritenersi precluso l'accesso al regime fiscale agevolativo.
Il no del datore di lavoro
Poiché il sostituto aveva ritenuto di non applicarle il regime di favore, la stessa presentava all'Agenzia delle Entrate istanza di rimborso e, a seguito del formarsi del silenzio-rifiuto, proponeva ricorso-reclamo chiedendo al giudice la condanna dell'Ufficio al rimborso delle somme pagate in eccesso, oltre interessi.
Il responso dei primi giudici
La Corte di primo grado accoglieva il ricorso in quanto gli elementi segnalati dall'Ufficio per ritenere sussistente la totale continuità tra il rapporto di lavoro in Spagna e quello poi iniziato in Italia (mantenimento di ferie maturate in precedenza, della anzianità di servizio, assenza di periodo di prova, etc..) non contrastavano l'assoluta novità concernente il nuovo e più importante sottoscritto dalla contribuente per rientrare in Italia, seppure con il medesimo datore di lavoro. L'Ufficio impugnava la sentenza sfavorevole sia per la modalità di fruizione dell'agevolazione – la contribuente avrebbe dovuto richiederlo formalmente al datore di lavoro-sostituto d'imposta e in caso di risposta negativa avrebbe dovuto richiedere i suddetti benefici nella dichiarazione dei redditi (i cui termini di presentazione risultavano però scaduti) – sia per la carenza del requisito della discontinuità lavorativa necessario per l'accesso al regime agevolativo.
L'accesso al regime “impatriati” non è un'opzione
I giudici di secondo grado hanno in particolare ritenuto che - con riferimento alla irritualità della domanda di rimborso e alla presunta preclusione del diritto per non averlo esercitato in dichiarazione - il versamento di una maggiore imposta per effetto della mancata applicazione di una agevolazione da parte del sostituto costituisca una "normale" fattispecie di maggiore versamento d'imposta e che, una volta acclarata - indipendentemente dalla genesi del diritto al rimborso e in assenza di una specifica norma preclusiva - dà diritto al rimborso, da esercitarsi nelle forme di legge. Pertanto, ha osservato il Collegio, se non vi è dubbio che costituisca diritto del contribuente richiedere l'applicazione della tassazione di favore nella dichiarazione dei redditi, e altrettanto vero che il mancato esercizio di tale diritto in dichiarazione non possa in alcun modo precludere la richiesta di rimborso della maggiore imposta pagata rispetto a quella dovuta, in relazione al possesso dei prescritti requisiti di legge. «L'agevolazione spettante agli impatriati, hanno affermato “a chiare lettere” i giudici d'appello, costituisce una modalità di applicazione dell'imposta e non un'opzione, ossia una scelta tra due regimi (come ad esempio l'opzione tra il regime di tassazione ordinario piuttosto che quello forfettario; opzione che implica una valutazione di convenienza che si basa su una pluralità di variabili e che a posteriori si potrebbe rivelare svantaggiosa per il contribuente che l'ha effettuata e pertanto, appare giustificabile la non emendabilità, se non nel limite temporale previsto dalla legge per dare stabilità ai rapporti tributari, attraverso una dichiarazione integrativa da presentarsi entro il termine di 90 giorni dalla scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione). Per quanto concerne il regime “impatriati”, il contribuente non è posto davanti ad una scelta, nè una opzione tra due possibili modalità di tassazione, ma semplicemente davanti alla possibilità di fruire di una minore tassazione al verificarsi di precisi requisiti previsti dalla legge. In sostanza, in tale fattispecie, la dichiarazione dei redditi mantiene la natura di dichiarazione di scienza (e non di volontà), essendo quindi emendabile anche attraverso istanza di rimborso nei limiti dei 48 mesi previsti dalla legge (i giudici hanno sottolineato come sarebbe del tutto illogico sostenere che il contribuente possa manifestare la "volontà" di pagare un tributo maggiore, avendo la possibilità di scegliere per un regime agevolato). Da ciò la tempestività dell'azione di rimborso avanzata dalla contribuente. Per quanto concerne il secondo profilo, i giudici hanno ritenuto illogico e contraddittorio da parte dell'Ufficio sostenere una presunta “continuità” del rapporto di lavoro laddove la contribuente, inquadrata nel contratto di distacco all'estero quale quadro, aveva assunto nel contratto stipulato al rientro in Italia il ruolo di dirigente, ruolo quest'ultimo che evidentemente prevede un regime completamento diverso sia sotto il profilo reddituale che delle garanzie contrattuali.
Fonte: CGT II Lombardia 19 aprile 2024 n. 1118
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