Come ormai noto, il Decreto di riforma del contenzioso tributario (D.Lgs. 220/2023) ha introdotto nell'ordinamento una nuova tipologia di sentenze (lato sensu), ossia le “semplificate”, che portano di fatto alla risoluzione della questione sottesa ad un'istanza cautelare – in ossequio a quanto indicato dall'art. 19, comma 1, lettera f) della Legge 111/2023 – dando la possibilità al giudice tributario, in sede di decisione su tale istanza, di definire direttamente il giudizio con tali pronunce. Possibilità che, sebbene sia stata “rimodulata” rispetto alla bozza di testo di riforma del contenzioso – laddove simile istituto era ammesso anche al di fuori delle decisioni sulle istanze di sospensione – ha da subito destato perplessità e dubbi in capo agli addetti ai lavori.
L'applicabilità della sentenza semplificata
Il funzionamento dell'istituto, illustrato dall'art. 47-ter del D.Lgs. 546/1992, è invero piuttosto semplice, e fa sì che il collegio giudicante (o il giudice monocratico) trascorsi almeno 20 giorni dall'ultima notificazione del ricorso:
una volta accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, e
dopo aver sentito in proposito le parti costituite
può definire il giudizio in camera di consiglio con la sentenza in forma semplificata. Cosa che, però, avviene salvo che una delle parti dichiari di voler proporre motivi aggiunti, ovvero regolamento di giurisdizione.
È pur vero che la sentenza semplificata può essere emessa solo in determinati casi previsti dalla legge, contraddistinti da un certo grado di “gravità” – ossia quando il giudice ravvisa la manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso – ma ciò nulla toglie ai possibili pregiudizi che dette pronunce sono in grado di arrecare alle parti costituite, in special modo ai soggetti “privati” (i ricorrenti in primo grado). Quanto detto, peraltro, anche considerando che, in simili ipotesi, la motivazione del pronunciamento che può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme; circostanza, quest'ultima, in precedenza non prevista dal nostro ordinamento (tipicamente di “civil law”, laddove non vi è quindi che vi sia la cogenza tipica dei precedenti giurisprudenziali).
Conseguenze in ordine alla strategia processuale
La principale problematica è quella per cui in simile contesto può avvenire che, in sede di dibattimento per l'istanza di sospensione – quindi laddove il richiedente si aspetta, legittimamente, di vedere un responso da parte dei giudici che riguardi la medesima sospensiva – si giunga direttamente ad una decisione anche di merito. Decisione che, in caso di rigetto del ricorso, porta dunque l'istante a subire letteralmente il contrappasso che deriva dal fatto che, dalla tutela rispetto alla provvisorietà dell'atto impositivo impugnato, si passa in maniera diretta alla conferma di quest'ultimo.
Simile circostanza impone dunque, in special modo ai patrocinanti, di far ponderare bene ai propri assistiti la possibilità di richiedere “in automatico” la sospensiva: quanto detto, specialmente, nei casi in cui vi è un ipotetico “sentore” circa il respingimento del ricorso, dal momento che l'ipotesi in cui venga emessa una sentenza semplificata può portare ad un danno anche grave in capo al medesimo ricorrente. Diversamente, invece, qualora non venga richiesta alcuna tutela cautelare il problema non si può porre. Un'ulteriore riflessione va poi dedicata al passaggio normativo, di cui all'art. 47-ter, comma 1, primo periodo del D.Lgs 546/1992, tale per cui il giudice può procedere con la sentenza semplificata “sentite sul punto le parti costituite”. Locuzione (se non altro) incerta in quanto pare arduo, ad oggi – in mancanza di lumi in merito – pensare, da un lato, a ciò che codeste parti possano argomentare a proprio favore così come, dall'altro (e di conseguenza), a quanto simile interlocuzione con le parti possa apportare rispetto al convincimento del giudice. E' chiaro come il giudice, nel momento in cui sente le parti costituite – con le modalità e le formalità ad oggi non definite – abbia già delineato il quadro, ritenuto completo il perimetro del contraddittorio e si sia creato la propria convinzione ed intenda quindi risolvere la controversia tributaria per “le vie brevi”; in tale frangente poco si comprende su quali basi questi possa consentire l'acquisizione di nuovi documenti che lo costringerebbero a fissare una nuova udienza, da discutersi nel merito, con relativo deposito di una sentenza debitamente motivata.
Le conseguenze sul secondo grado di giudizio
In ultima considerazione, la decisione del ricorso mediante sentenza semplificata priva le parti di poter depositare memorie aggiuntive o depositare nuovi documenti o ancora replicare alle controdeduzioni dell'ufficio mediante il deposito entro i 20 giorni liberi prima dell'udienza per la discussione nel merito del ricorso stesso. Stante il dettato del nuovo articolo 58, del D.Lgs. 546/1992, che non consente la produzione di nuovi documenti in appello, si verrebbe a creare, a causa dell'emanazione della sentenza semplificata, l'impossibilità di produrre tali documenti; si auspica che in tale situazione questi possano essere ammessi nell'ambito del giudizio di secondo grado in quanto non presentati nel rito di primo grado per cause non imputabili alla parte.
Insomma, tra le tante questioni tipicamente normative che stanno formando oggetto di discussione, anche particolarmente cogente, tra gli operatori, è bene non dimenticare neanche – e forse soprattutto – le possibili ricadute pratiche. Segnatamente quanto di potenziale sensibile gravità.
Giuffrè Francis Lefebvre è presente al 61° Congresso Nazionale UNGDCEC, 11-12 aprile a Caserta.
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