venerdì 29/03/2024 • 06:00
Il Tribunale di Napoli, con ordinanza 25 marzo 2024 n. 1539, ha dichiarato legittimo il licenziamento per soppressione del posto, intimato a un addetto alla rete commerciale che ha rifiutato la posizione di agente.
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Una lavoratrice, con mansioni di “addetto alla rete commerciale per l'Area Campania e Basilicata” veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo dopo aver rifiutato la proposta di trasformazione del proprio rapporto di lavoro da dipendente in agenzia.
La lavoratrice impugnava così giudizialmente il provvedimento espulsivo, eccependo la sua illegittimità per insussistenza del motivo oggettivo posto a fondamento e per violazione dell'obbligo di repêchage.
Si costituiva in giudizio la società ex datrice di lavoro, chiedendo il rigetto del ricorso ed evidenziando la correttezza del proprio operato.
Il Tribunale di Napoli, investito della causa, ha ritenuto provato e non contestato che effettivamente la posizione ricoperta dalla lavoratrice non sia più esistita a seguito del licenziamento così come ha ritenuto pacifico che le mansioni, alla stessa precedentemente assegnate, siano state poi affidate ad un agente.
Sussistenza giustificato motivo oggettivo
Entrando nel dettaglio, il Tribunale ha osservato che, rispetto al giustificato motivo oggettivo, la società ha dedotto che il licenziamento traeva la sua origine nella scelta aziendale di sopprimere la posizione lavorativa, per uniformare le modalità di gestione degli affari sul territorio. Tant'è che la propria rete commerciale è sempre stata costituita esclusivamente da agenti, tranne nel caso della lavoratrice, allegando la volontà di addivenire ad una uniformità di trattamento economico e normativo anche per facilitare la propria gestione contabile-amministrativa.
A tal fine la società ha prodotto in giudizio i contratti di agenzia stipulati negli anni con i singoli agenti, dando così prova dell'effettiva organizzazione aziendale e confermando che l'unica inquadrata come dipendente era la ricorrente.
Secondo il Tribunale la società ha anche provato di aver provveduto alla “nuova articolazione del lavoro” conferendo l'incarico ad un agente (di cui ha depositato il relativo contratto di agenzia) e non ad un dipendente. Oltretutto, ad avviso del Tribunale, è pacifico (per entrambe le parti) che la posizione di agente è stata offerta anche alla lavoratrice prima di procedere con il suo licenziamento.
A tal proposito, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale “non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto a cui era addetto il dipendente licenziato, sempreché risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato” (cfr. tra tutte Cass. n. 88/2002, n.88).
Secondo il Tribunale si tratta di un principio riaffermato costantemente dalla giurisprudenza di merito, tra le cui pronunce cita le seguenti:
Sulla scorta dei principi sopra citati, il Tribunale è così addivenuto alla conclusione che il licenziamento di cui è causa è legittimo, essendo stato il posto della lavoratrice effettivamente soppresso per essere affidato ad un agente. E questa decisione non è sindacabile dal giudice poiché rientra nel merito delle scelte aziendali, da ritenersi libere alla luce dell'art. 41 Cost.
Obbligo di repêchage
Rispetto alla violazione dell'obbligo di repêchage, ad avviso del Tribunale, la società ha dedotto che non sussistevano nell'organigramma aziendale posizioni scoperte che potessero essere ricoperte dalla lavoratrice. Sia nell'ambito territoriale in cui la stessa aveva sempre operato, sia nelle altre sedi aziendali, le posizioni riferibili al suo inquadramento – come a quello immediatamente inferiore – risultavano tutte coperte. A riprova della correttezza aziendale, la società ha anche dimostrato di non aver provveduto a nuove assunzioni con riferimento a posizioni che avrebbe potuto ricoprire la stessa.
Pertanto, a parere del Tribunale, le tesi della lavoratrice non possono essere accolte, non essendo sufficiente asserire che presso la società esistessero posizioni impiegatizie, dovendo le stesse risultare scoperte perché possa dirsi violato l'obbligo di reimpiego.
Per il Tribunale non risulta nemmeno sufficiente a suffragare la violazione de quo l'eccezione per cui il numero di impiegati aziendali è aumentato dopo il suo licenziamento: rispetto a tale dato, infatti, la società ha dimostrato che le assunzioni di impiegati – peraltro avvenute oltre sei mesi dopo il licenziamento – hanno riguardato personale inquadrato tra il quarto ed il quinto livello.
Pertanto, anche su questo punto, il licenziamento non può che considerarsi legittimo e la relativa impugnativa respinta.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il Tribunale ha rigettato il ricorso e condannato la lavoratrice al pagamento delle spese di lite.
Fonte: Trib. Napoli 25 marzo 2024 n. 1539
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