lunedì 25/03/2024 • 06:00
L'operatore può richiedere il trattamento di origine preferenziale anche dopo l'importazione, in presenza di errori meramente formali nella dichiarazione, purché sia successivamente fornita una valida prova dell'origine delle merci importate.
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Il diritto all'applicazione del dazio preferenziale deve essere riconosciuto anche laddove taluni adempimenti procedurali non siano stati assolti secondo la consueta scansione temporale, qualora sussista la produzione di una valida prova di origine preferenziale, volta a dimostrare che i prodotti hanno tutti i requisiti richiesti dalla normativa di riferimento per essere considerati di tale origine (CGT I Milano, 24 marzo 2023, n. 1045).
L'origine preferenziale delle merci
I giudici milanesi si sono pronunciati in merito alla corretta applicazione delle regole di origine preferenziale su prodotti importati dal Giappone, per i quali l'operatore non aveva richiesto l'applicazione dell'agevolazione daziaria all'atto di immissione in libera pratica.
Nello specifico, l'operatore non aveva fornito il documento necessario per usufruire di tale agevolazione, ossia la fattura contenente l'attestazione di origine rilasciata dall'esportatore, che comprovasse l'origine giapponese delle merci importate. Tale omissione lo aveva privato della possibilità di usufruire del diritto dell'esenzione dai dazi doganali. Avvedutosi dell'errore, l'importatore ha presentato istanza di revisione e di rimborso dei dazi versati, chiedendo il riconoscimento del dazio zero.
A fronte del diniego opposto dall'Agenzia, l'importatore ha presentato ricorso al giudice tributario, contestando la violazione dell'art. 17, par. 3 dell'Accordo di partenariato tra UE e Giappone, secondo cui l'autorità del Paese importatore non dovrebbe respingere una richiesta di trattamento tariffario preferenziale “per errori materiali o discrepanze di scarsa importanza nell'attestazione di origine”. Secondo quanto sostenuto dall'Agenzia, invece, la mancanza della fattura contenente l'attestazione di origine rilasciata dall'esportatore sarebbe un'irregolarità sostanziale e non meramente formale, idonea a impedire l'applicazione del trattamento tariffario favorevole.
L'origine delle merci, che identifica il Paese in cui il bene è stato realizzato, è un elemento di grande importanza nella pianificazione aziendale. In particolare, l'origine preferenziale attribuisce vantaggi economici significativi, attraverso esenzioni o riduzioni dei dazi doganali, ai prodotti originari di Paesi con i quali l'Unione europea ha stipulato Accordi di partenariato economico (c.d. Free Trade Agreements, FTA). Per poter usufruire di tale trattamento agevolato, è necessario rispettare le regole di origine preferenziale stabilite negli accordi di libero scambio e fornire documenti idonei a comprovare l'origine delle merci importate.
I giudici milanesi, nel caso di specie, hanno respinto l'interpretazione delle Dogane, affermando che anche una dichiarazione di origine "tardiva" può consentire all'operatore di beneficiare del trattamento preferenziale. La dichiarazione doganale, infatti, ha natura di mera dichiarazione di scienza e, in quanto tale, non vincola il contribuente. Pertanto, qualora ne sussistano i presupposti, può essere emendata e ritrattata. Secondo l'autorevole parere della Corte di Cassazione, infatti, un adempimento formale non può condurre all'applicazione di un regime impositivo diverso da quello spettante sulla base della fattispecie sostanziale (Cass., sez. V, 28 giugno 2019, nn. 17513 e 17514; Cass., sez. V, 11 giugno 2019, n. 15634).
La sentenza in commento conferma tale orientamento, riconoscendo maggiore rilievo alla “sostanza” rispetto alla forma. Al riguardo, anche la Corte di Giustizia europea chiarisce che l'Amministrazione finanziaria non può negare un diritto del contribuente, “laddove tale autorità disponga di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali relativi all'esercizio del diritto in parola siano soddisfatti” (Corte di Giustizia, 15 settembre 2016, C-516/14).
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