lunedì 26/02/2024 • 06:00
I recenti eventi di cronaca hanno riportato l'attenzione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Basterebbe alzare le pene o inserire nuovi reati per risolvere il problema delle morti sul lavoro? Una possibile e concreta soluzione potrebbe essere l'aumento dei controlli dell'INL e degli altri organismi preposti dalla legge.
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I tragici eventi accaduti nel cantiere per la costruzione di un supermercato a Firenze hanno prepotentemente riportato all'attenzione dell'opinione pubblica la problematica della sicurezza sui luoghi di lavoro che ciclicamente ritorna predominante l'ennesima tragedia che vede perdere la vita a dei lavoratori.
Nell'immediatezza dei fatti tutti si affannano ad annunciare nuove leggi ed inasprimento delle pene per i reati esistenti, salvo poi finire tutto nel dimenticatoio fino alla nuova disgrazia che inevitabilmente arriverà.
Ma davvero basterebbe soltanto alzare le pene o, inserire nuovi reati per risolvere il problema?
La questione è molto più complessa e merita un approccio diverso ed olistico e non per singoli comparti in maniera disomogenea come è stato fatto fino ad oggi.
I casi di cronaca
Il filosofo, storico e giurista Giambattista Vico sviluppò la teoria dei famosi “corsi e ricorsi storici”, secondo cui appunto determinati eventi e avvenimenti si ripetono in maniera ciclica a distanza nel tempo, ovvero più semplicemente la storia si ripete.
Questa affermazione è quantomai attuale allorquando si parla di sicurezza sui luoghi di lavoro, poiché, con cadenza ciclica e, ad una certa distanza nel tempo, gli organi d'informazione ripropongono in prima pagina la notizia di un grave infortunio sul lavoro.
L'ultima, in ordine di tempo, riguarda il crollo di una trave nel cantiere per la costruzione di un supermercato a Firenze che ha portato alla morte di 5 operai ma, non è affatto lontano nel tempo il 30 agosto 2023, allorquando pochi minuti prima della mezzanotte, un treno che viaggiava a 160 chilometri orari, travolgeva ed uccideva sul colpo cinque operai che stavano lavorando alla manutenzione dei binari.
Accadeva a Brandizzo, piccolo comune della provincia di Torino, lo sgomento ed il cordoglio si diffondeva lungo tutto lo stivale, le frasi che televisioni e giornali riproponevano in continuazione erano sempre le stesse: “mai più, mai più dovremmo assistere ad una simile tragedia, non si può morire di lavoro”; a proferirle politici, politologi, sindacalisti ed opinionisti tv, tutti concordi nel riaffermare che occorrevano leggi ad hoc e pene più severe contro chi cagionava le morti sul lavoro.
La notizia rimaneva nelle prime pagine dei giornali e telegiornali per diversi giorni, salvo poi, con il trascorrere del tempo, perdere di interesse e passare nel dimenticatoio fino al nuovo infortunio mortale.
In realtà, se la soluzione del problema fosse, solo ed unicamente, quello di innalzare le pene il problema non esiterebbe affatto, o meglio, sarebbe stato risolto da tempo immemorabile ma, evidentemente la soluzione giusta non è questa o, per meglio dire, non è solo questa.
Quali sono le principali cause degli infortuni sul lavoro
Gli infortuni sul lavoro possono essere causati da una serie di fattori e, le cause principali variano in base al tipo di lavoro ed alle mansioni svolte dal singolo lavoratore ma, una certezza incontestabile è che la prima causa in assoluto rimane sempre la mancata formazione ed informazione del lavoratore.
Un lavoratore formato ed informato dei rischi e dei pericoli connessi allo svolgimento delle proprie mansioni lavorative ha sicuramente minori probabilità di infortunarsi, rispetto ad un lavoratore che non ha ricevuto un'adeguata formazione.
Al secondo posto tra le possibili cause di infortuni vi è la scarsa manutenzione delle attrezzature o, il loro funzionamento difettoso, mentre al terzo posto il mancato uso di dispositivi di protezione individuale (DPI).
Quanto innanzi riportato l'ho scritto, più e più volte, perché credo fermamente che il primo a dover garantire la propria incolumità dai possibili infortuni sia lo stesso lavoratore.
Ma, per fare ciò il lavoratore deve conoscere i pericoli a cui va incontro quotidianamente attraverso la conoscenza dei rischi connessi allo svolgimento della propria attività lavorativa e, delle relative misure di prevenzione e protezione che si possono mettere in campo per mitigare il rischio.
Questo perché il rischio zero non esiste, ogni attività umana, per sua natura, è connaturata ad un rischio che può essere: basso, medio o, alto per cui, in ambito di salute e sicurezza si parla più propriamente di “mitigazione del rischio”.
Il crollo nel cantiere di Firenze
Da una prima ricostruzione della dinamica dell'incidente, sembrerebbe che nell'area dove si è verificato il crollo della trave che ha investito gli otto operai, cinque dei quali sono purtroppo deceduti, erano presenti tre diverse imprese subappaltatrici e che, nell'intero cantiere operavano ben 61 aziende diverse con lavoratori provenienti da tutta Italia.
Questa notizia ha scatenato un inferno mediatico tutti a putare il dito contro i subappalti ritenuti, in questo caso, la causa principale della morte degli operai per cui tutti ad invocare una legge che vada a riformare la materia dei subappalti.
In realtà, allo stato, le indagini sono in fase embrionale ed è davvero troppo presto per parlare di responsabilità, non si sa neppure se la trave sia collassata per un cedimento strutturale, per un errore nel montaggio o, addirittura, per un difetto di progettazione.
Ognuna delle citate ipotesi comporterebbe una diversa attribuzione di responsabilità a carico di soggetti diversi, ad esempio: il cedimento strutturale tirerebbe in causa l'azienda produttrice della trave, l'errore di montaggio l'impresa che ha eseguito la posa in opera della stessa mentre, il difetto di progettazione i progettisti.
Per cui, in questa fase delle indagini, additare come causa della morte dei lavoratori i subappalti è inutile, controproducente e serve solo per gli spot televisivi in cui bisogna parlare alla pancia del popolo.
La normativa vigente
Per cercare di dare una soluzione seria e definitiva al problema la domanda giusta da porsi è la seguente: anche se l'Italia è uno dei paesi con la più ampia ed innovativa legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro perché gli infortuni non accennano a diminuire?
Punto primo, introdurre nuovi reati o, nuove norme di legge non serve assolutamente a nulla, le leggi ci sono, sono valide ed efficaci, il vero problema è farle rispettare.
Meno di due anni fa è stata introdotta la legge 215/2021, che ha apportato una vera e propria mini-riforma all'impianto normativo del D.Lgs. 81/2008, intervenendo in maniera profonda per cercare di arginare gli infortuni sul lavoro ma, gli effetti sperati non si sono avuti.
Punto secondo, tutti parlano di inasprimento delle pene, anche questa soluzione è un mero palliativo, ne abbiamo avuto prova nei reati di femminicidio ed omicidio stradale dove le pene sono davvero molto alte ma, nonostante ciò, i reati non accennano a calare, anzi sono in continuo aumento.
Le possibili soluzioni
A modesto parere di chi scrive, una possibile e concreta soluzione al problema delle morti sui luoghi di lavoro, potrebbe essere l'aumento dei controlli da parte dell'INL e degli altri organismi preposti dalla legge.
Partiamo da un dato incontestabile, per eseguire i controlli servono gli ispettori e la consistenza del corpo ispettivo coordinato dall'INL risulta complessivamente pari a 3.983 unità così distribuite:
• 2.412 ispettori civili dell'INL, dei quali 215 tecnici;
• 884 ispettori dell'INPS;
• 210 ispettori dell'INAIL;
• 477 militari dell'Arma (il 15% del complessivo personale ispettivo) in parte destinati a funzioni di polizia giudiziaria.
Negli ultimi tre anni il numero è notevolmente cresciuto ma, l'organico è ancora sottodimensionato basti pensare che le imprese attive presenti sul territorio italiano nel 2020 erano 4 milioni e 354 mila per un totale di 17 milioni 138 mila addetti (fonte ISTAT), questo numero rende l'idea della insufficienza del personale addetto ai controlli.
È stato stimato che un'azienda statisticamente ha la possibilità di essere controllata una volta ogni 20 anni, basterebbe questo dato per comprendere che molte imprese, in special modo quelle più piccole, non investono in sicurezza, poiché sono ben consapevoli che la possibilità di incappare in un controllo è molto rara ed accettano il rischio.
Poi, quando anche avviene un infortunio o, sono soggette ad un controllo in cui vengono riscontrate irregolarità, anche gravi, mettono in liquidazione quella società ed il giorno dopo ne aprono un'altra con a capo una nuova testa di legno in qualità di amministratore ed il gioco è fatto.
Dinanzi a realtà simili l'innalzamento delle pene serve a poco o meglio a nulla.
Inoltre, le imprese che non investono in sicurezza, non formano i propri dipendenti ma addirittura li fanno lavorare in nero senza alcun contratto, hanno un considerevole risparmio di spesa, con l'ovvia conseguenza, che possono fornire i propri servizi ad un prezzo notevolmente più basso rispetto a quelle imprese che hanno investito in sicurezza.
Tale situazione genera una gravissima distorsione del mercato in danno di quelle aziende serie che si ritrovano a non essere più competitive e sono fuori mercato dal momento che, hanno dei costi notevolmente superiori rispetto a chi adotta lavoratori in nero sottopagati, non investe in sicurezza, ed in definitiva evade anche il fisco.
È questa una problematica di cui si parla poco ma, in realtà, è l'elemento centrale del problema che dovrebbe essere affrontato prioritariamente.
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