martedì 13/02/2024 • 06:00
In tema di perdite proprie, il TUIR detta una regola mai chiarita per le società in accomandita, attribuendo agli accomandatari le perdite eccedenti l'ammontare del capitale sociale. In questo contesto si inseriscono le disposizioni della Legge delega per la Riforma fiscale, per le quali non sono al momento disponibili le bozze dei Decreti delegati.
C'era una volta il commercio delle “bare fiscali”, cioè delle società inattive che portano in dote il diritto a riportare le perdite. La bozza del testo unico delle imposte sui redditi inizia a circolare nella prima metà del 1986, e contiene una ipotesi di regolazione normativa di questo problema. Gli interessati cercano di anticipare le operazioni in cantiere e il ministro delle finanze dell'epoca, Bruno Visentini, decide di anticipare con un decreto-legge questa normativa. Il provvedimento del 18 giugno 1986, n. 277 introduce la limitazione del riporto al patrimonio netto dell'incorporata (esteso dalla legge di conversione a tutte le società partecipanti alla fusione). La norma relativa agli indici di vitalità (ricavi e costi del personale superiori al 40% nel biennio precedente) non fa parte della disposizione, ma era una norma transitoria per salvare le operazioni soltanto deliberate. Parteciperà alle regole permanenti del TUIR (articolo 123 dell'epoca) in modo singolare, tredici giorni dopo l'entrata in vigore del provvedimento sistematico. Può stupire che nel 1990 il gruppo statale IRI organizza la vendita alla Banca Commerciale Italia di una vera e propria bara fiscale, la società Spamo, che aveva contabilizzato 870 miliardi di perdite sul credito verso lo Stato iraniano per la costruzione del porto di Bandar Abbas. Operazione fatta alla luce del sole: nel bilancio della banca si parla di un vantaggio fiscale di 207 miliardi di lire, pagando la Spamo con un importo di 200 milioni più una percentuale (ridotta rispetto alle aliquote fiscali) del risparmio di imposte. Qui non si era in presenza di un riporto delle perdite fiscali – che sarebbe stato irrilevante – ma del c.d. reversal di una variazione in aumento: nel bilancio in cui il credito era stato svalutato mancava la certezza dell'evento. Il diritto alla conseguente variazione in diminuzione sarebbe arrivato nel 1998, con la perdita definitiva del credito, in quanto l'Iran si impegnerà unicamente ad assegnare commesse molto importanti ad aziende italiane. Il ministro delle finanze, Rino Formica, ordina un'ispezione per vedere se l'operazione deve considerarsi “simulata”, ma non lo è certamente. Oggi potremmo dire che siamo in un ambito di elusione, ma dobbiamo anche considerare che il gruppo delle partecipazioni statali aveva un tax rate esagerato, in quanto mancava la possibilità di avvalersi del consolidato fiscale. Riporto delle perdite: criticità delle norme attuali Non è questo il luogo per fare tutta la storia del riporto perdite, salvo segnalare quali le criticità delle norme attuali: per le perdite proprie l'articolo 8, comma 2, del TUIR detta una regola mai chiarita per le società in accomandita, attribuendo agli accomandatari le perdite eccedenti l'ammontare del capitale sociale (perché non il patrimonio? una sola volta dopo aver esaurito la capienza?). Il riporto avviene nella dichiarazione dei redditi dei soci, con regole di utilizzo ora allineate a quelle dei soggetti IRES, cioè il possibile utilizzo per l'80% dell'imponibile successivo (100% per i primi tre anni delle nuove attività). Nella trasformazione progressiva – da società di persone a società di capitale – i soci rischiano di non poter più utilizzare le perdite, in quanto i dividendi successivi non saranno redditi d'impresa, ma di capitale e quindi non sono compensabili. L'articolo 84, comma 3, cerca di contrastare l'acquisto della “bara” da rivitalizzare con un'operazione che consenta di iniziare una nuova attività di altro genere, a meno che nel biennio precedente siano rispettati gli indici di vitalità previsti per fusioni e scissioni, oltre ad avere una storia biennale di almeno dieci dipendenti (requisito non previsto per le operazioni straordinarie). Un solo accenno per le scissioni: occorre disciplinare il nuovo istituto della scissione mediante conferimento (nuovo articolo 2506.1 del codice civile), mentre resta ferma la non limitazione del riporto perdite nel caso di scissione verso società di nuova costituzione (risoluzione 30 giugno 2009, n. 168/E). In questo contesto si inseriscono le disposizioni della legge delega per la riforma fiscale, per le quali non sono al momento disponibili le bozze dei decreti delegati: tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite fiscali, con la modifica della disciplina del riporto delle perdite nell'ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall'ingresso dell'impresa nel gruppo societario, e revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell'attività principale esercitata. Un'ultima disposizione della delega parla di definizione delle perdite finali ai fini del loro riconoscimento secondo i princìpi espressi dalla giurisprudenza degli organi giurisdizionali dell'Unione europea. Il riferimento è alla sentenza del 12 giugno 2018, nella causa C-650/16: per i principi del libero stabilimento una società residente che non abbia optato per un regime di consolidato fiscale internazionale deve poter dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite da una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro laddove, da un lato, tale società ha esaurito tutte le possibilità di deduzione di tali perdite ad essa offerte dal diritto dello Stato membro in cui è situata la stabile organizzazione in parola e, dall'altro, essa ha cessato di percepire ricavi da quest'ultima, di modo che non esiste più alcuna possibilità che le perdite siano prese in considerazione nello Stato membro in questione.
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