lunedì 12/02/2024 • 06:00
La Cassazione si è pronunciata su un caso relativo alle spese per incrementi patrimoniali dando continuità all'orientamento secondo cui il giudice tributario, una volta accertata l'effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall'ufficio, può valutarli insieme con la prova del contribuente.
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In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la Corte di Cassazione - con la sentenza n. 3216 del 5 febbraio 2024 - ha inteso dare continuità all'ormai consolidato orientamento secondo cui qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alle spese per incrementi patrimoniali, la presunzione di cui all'art. 38 del DPR n. 600/1973 è legale relativa e comporta che il giudice tributario, una volta accertata l'effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall'ufficio, non può privarli del valore connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma unicamente valutarli insieme con la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni. La sentenza della Cassazione La pronunzia nasce, in dettaglio, a seguito di ricorso (già rigettato in sede regionale e conferme della legittimità dell'avviso impugnato), presentato da un contribuente che, per l'anno d'imposta 2008: risultava possedere beni indice di capacità contributiva non dichiarati; riceveva, in merito, avviso di accertamento in rettifica relativamente alla propria ostensione reddituale ai fini Irpef; In particolare, le doglianze esposte dalla parte, per quanto qui di stretto interesse, attengono alla mancata valutazione, dell'error in giudicando, operata in sede regionale, ove non è stata recepita la tesi difensiva posta al vaglio decisionale secondo cui, nel caso di specie: risulterebbero, invero, applicabili, in via retroattiva, gli strumenti di accertamento sintetico-redditometrico più favorevoli al contribuente; sussisterebbe in toto, la tesi secondo cui negli accertamenti sintetici-redditometrici l'Amministrazione Finanziaria non può far gravare sul computo dell'annualità accertata gli incrementi patrimoniali verificatisi nelle annualità successive, sulla base del criterio di ripartizione nei quattro anni precedenti l'esborso. In tale perimetro, la Suprema Corte, nel rigettare i citati motivi addotti dal contribuente, ha avuto modo di chiarire, preliminarmente, che il menzionato art. 38 (applicabile ratione temporis), consente all'Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. Più in particolare, al comma 5, contempla le "spese per incrementi patrimoniali", cioè quelle - di solito elevate - sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (esempio tipico, l'acquisto di una casa di abitazione): in questo caso, è stabilita una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all'anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinque precedenti, cioè una disciplina di favore, adottata in base all'id quod plerumque accidit, ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d'imposta cui l'accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti. Per ciascun anno, inoltre, resta impregiudicata la facoltà e l'onere per il contribuente di dimostrare che il sostenimento integrale di tali spese in realtà sia riconducibile a redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta conseguiti nell'anno stesso in cui esse risultano effettuate ovvero in uno solo dei cinque anni precedenti: prova contraria, questa, che ovviamente escluderebbe l'attribuzione "spalmata" del maggior reddito presunto, pro quota, in ciascuno degli anni compresi nell'arco temporale di cinque anni considerati dalla norma, suscettibili di accertamento (cfr. in merito anche Cass., Sentenza n. 14509 in data 15.07.2016). Non a caso, la prova documentale ammessa inerisce la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati, in quanto la prima circostanza è idonea, da sola, a superare la presunzione dell'insufficienza del reddito dichiarato in relazione alle spese sostenute. Ne consegue che l'accertamento deve essere annullato ove il contribuente dimostri di aver ricevuto, a breve distanza temporale dall'erogazione della spesa per incrementi patrimoniali, un finanziamento anche sovrabbondante rispetto agli oneri sopportati, con ciò provando la non rilevanza di dette spese ai fini dell'accertamento sintetico del reddito (vgs, al riguardo, Cass., Sentenza n. 527 in data 08.01.2024). In via analoga, ove tale prova consista nell'allegazione di elargizioni a titolo gratuito avvenute senza formalità, deve tenersi conto che ai fini del riconoscimento del modico valore di una donazione, l'art. 783 c.c. non detta criteri rigidi cui ancorare la relativa valutazione, che deve essere apprezzata alla stregua di due elementi: quello obiettivo, correlato al valore del bene che ne è oggetto, e quello soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante. Ne consegue che l'atto di liberalità, per essere considerato di modico valore, non deve mai incidere in modo apprezzabile sul patrimonio del donante (in tal senso, Cass., Sentenza n. 238 in data 04.01.2024). Si rammenta infine, che in tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari ai sensi dell'art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, del DPR n. 600/1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, a qualunque categoria di reddito siano riferibili i proventi accertati, atteso la che prefata disposizione espressamente rinvia in merito, tra gli altri, allo stesso art. 38 in commento; fermo restando, in ogni caso che, in considerazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento lo hanno nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (vgs, in merito, Cass., Sentenza n. 35618 in data 20.12.2023). In definitiva, si richiede una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere); previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la relativa disponibilità, così da consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva - accertata con metodo sintetico in capo al contribuente - proprio a tali ulteriori redditi. Né, peraltro, la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (vgs, tra le altre, la Cass., Sentenza n. 37895 in data 26.10.2022). Fonte: Cass. civ. 5 febbraio 2024 n. 3216 ...
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Marco Ligrani
- Dottore commercialista in BariRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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