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mercoledì 31/01/2024 • 06:00

Fisco DALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE

IVA: fatture false emesse dal dipendente all’insaputa del datore di lavoro

Il dipendente che abbia emesso una fattura falsa utilizzando l'identità del datore di lavoro quale soggetto passivo, all'insaputa di quest'ultimo e senza il suo consenso, deve essere considerato debitore dell'IVA, salvo che il predetto soggetto passivo non abbia provato di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta in sede di controllo dell'operato del dipendente.

di Marco Peirolo - Dottore commercialista e componente della Commissione IVA e altre imposte indirette CNDCEC

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Con la sentenza relativa alla causa C-442/22 del 30 gennaio 2024, la Corte di giustizia UE ha dovuto stabilire se l'impresa sia tenuta al pagamento dell'IVA risultante dalle fatture fittizie emesse, a sua insaputa, dai propri dipendenti per consentire la frode IVA da parte di un terzo.

La questione non era stata ancora affrontata dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto la responsabilità relativa all'IVA a debito risultante da fatture false è sempre stata esaminata in relazione alla condotta illecita propria dell'impresa. Per contro, la responsabilità per la partecipazione alla frode IVA commessa da un terzo è sempre stata collegata all'assenza della necessaria diligenza, richiesta in caso di effettuazione di una cessione o prestazione all'interno di una catena di operazioni.

Oggetto della controversia

Da una verifica fiscale è emerso che, a nome di una società polacca, erano state emesse, tra il 2010 e il 2014, 1.679 fatture per operazioni inesistenti a favore di imprese che avevano recuperato, in detrazione, la relativa IVA.

La società non aveva registrato le fatture e l'imposta non era stata versata all'Erario e neppure indicata nelle dichiarazioni periodiche di competenza.

Da un'indagine interna compiuta dalla società è emerso che le fatture in questione erano state emesse all'insaputa della società da un proprio dipendente.

Quest'ultimo, in particolare, a partire dal 2010, aveva emesso fatture cumulative relative a scontrini fiscali prelevati dal bidone della spazzatura della stazione di servizio da lui gestito, in modo che le fatture emesse a nome della stazione di servizio in relazione alle operazioni fittizie non includessero quantitativi di carburante superiori a quelli effettivamente venduti.

Ad avviso dei giudici di primo e secondo grado, la società, quale datore di lavoro, non avrebbe agito con la dovuta diligenza al fine di evitare l'emissione di fatture false.

Le mansioni del dipendente in esame non sarebbero state definite in maniera precisa per iscritto. L'ampio ventaglio delle mansioni includeva la possibilità di emettere fatture relative agli scontrini fiscali senza la successiva approvazione del datore di lavoro e, siccome il presidente del consiglio di amministrazione sarebbe stato a conoscenza del fatto che, nella stazione di servizio, venivano emesse fatture senza un controllo contabile, egli avrebbe potuto e dovuto prevedere che ciò avrebbe facilitato l'emissione di fatture false.

In definitiva, sarebbe stata la mancanza di un'adeguata vigilanza e organizzazione a portare il presidente del consiglio di amministrazione della società a scoprire la prassi in questione solo dopo l'avvenuta verifica fiscale.

La Suprema Corte ha sospeso il giudizio chiedendo alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla portata dell'art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, al fine di sapere se, nella fattispecie considerata, il debitore dell'IVA sia la società o il dipendente che ha emesso le fatture false.

Orientamento della Corte europea

L'art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, nel disporre che chiunque indichi l'IVA in fattura è debitore dell'imposta, mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale derivante dall'esercizio del diritto di detrazione.

Tale previsione, pertanto, si applica nel caso in cui l'IVA sia stata erroneamente fatturata e vi sia un rischio di perdita di gettito dovuto al fatto che il destinatario della fattura potrebbe operare la detrazione.

Nel caso di specie, le fatture controverse sono state emesse a fini fraudolenti, per consentire ai destinatari di beneficiare illegittimamente del diritto di detrazione.

Il rischio di perdita di gettito fiscale è concreto, in quanto la società non ha provveduto a versare l'imposta addebitata nelle fatture.

Riguardo all'individuazione del destinatario dell'obbligo di cui all'art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, l'utilizzo dell'espressione “chiunque” indica che il destinatario in oggetto non è necessariamente un soggetto passivo ai sensi dell'art. 9 della stessa Direttiva n. 2006/112/CE.

In linea di principio, quindi, una persona fisica, non soggetto passivo, può essere assoggettata all'obbligo d'imposta qualora indichi l'IVA in fattura.

Tuttavia, il tenore letterale dell'art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE non consente di stabilire a chi si riferisca l'obbligo d'imposta nel caso in cui la fattura sia stata emessa, all'insaputa della società, da un suo dipendente, in quanto l'espressione “chiunque”, a causa del suo carattere generale e indifferenziato, potrebbe fare riferimento tanto alla società quanto al dipendente.

Tenuto conto che la lotta contro la frode e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla normativa comunitaria e gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione, la Corte ha osservato che sarebbe in contrasto con tale obiettivo interpretare l'art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE ritenendo che l'emittente apparente della fattura falsa in cui è indicata l'IVA, che si sia fatto di usurpare l'identità di soggetto passivo IVA, sia considerato il debitore dell'imposta qualora detto emittente apparente sia in buona fede e l'Amministrazione tributaria conosca l'identità della persona che ha emesso la fattura falsa.

In una situazione siffatta, è proprio quest'ultima persona che deve essere considerata debitore dell'imposta ai sensi del citato art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE.

Tuttavia, il giudice nazionale ha osservato che la società non avrebbe dato prova di avere agito con tutta la dovuta diligenza per evitare l'emissione di fatture false.

Infatti, il dipendente era incaricato della fatturazione e avrebbe avuto il potere di emettere fatture al di fuori del sistema informatico di fatturazione, senza che fosse necessario ottenere l'ulteriore consenso del datore di lavoro. L'Amministrazione tributaria avrebbe, pertanto, ritenuto che il datore di lavoro sia venuto meno all'obbligo di vigilanza e che la sua negligenza gli avrebbe impedito di scoprire e di prevenire le pratiche fraudolente del suo dipendente.

Sul punto, la Corte ha ricordato che, secondo la posizione della giurisprudenza comunitaria, non è contrario al diritto dell'Unione esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possano ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una evasione dell'IVA.

In questa prospettiva, la Corte ha già dichiarato che, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasione, un operatore accorto può, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità.

Ne consegue che il datore di lavoro non può essere considerato in buona fede se non ha dato prova di avere agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte del suo dipendente e, ciò facendo, evitare che quest'ultimo possa utilizzare i dati identificativi del dato di lavoro per emettere fatture false.

Pertanto, spetta all'Amministrazione tributaria o al giudice adito procedere ad una valutazione globale dell'insieme degli elementi pertinenti per stabilire se il soggetto passivo, cui un dipendente ha usurpato i dati identificativi allo scopo di emettere fatture a fini false, abbia dato prova di avere agito con la diligenza ragionevolmente dovuta per controllare le condotte del dipendente.

In conclusione, la Corte ha dichiarato che il dipendente che abbia emesso una fattura falsa utilizzando l'identità del proprio datore di lavoro quale soggetto passivo, ad insaputa di quest'ultimo e senza il suo consenso, deve essere considerato debitore della relativa IVA, salvo che il predetto soggetto passivo non abbia provato di avere agito con la diligenza ragionevolmente dovuta in sede di controllo dell'operato del dipendente.

Fonte: CGUE 30 gennaio 2024 (C-442/22)

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