mercoledì 24/01/2024 • 06:00
Il contratto di lavoro part-time deve contenere l’indicazione della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. La giurisprudenza è stata molto rigorosa sulla possibilità per il datore di lavoro di modificare l’orario della prestazione part-time senza il consenso del dipendente.
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La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 210/1992, analizza il c.d. potere distributivo del datore di lavoro nei confronti di un dipendente con contratto a tempo parziale, ricordando che un siffatto potere sarebbe in contraddizione con i principi ai quali è ispirata la disciplina del rapporto di lavoro part-time.
Coerentemente con questa statuizione, da tempo la giurisprudenza di merito ha così avuto di ricordare che il rapporto di lavoro a tempo parziale "si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), lascia al prestatore d'opera un largo spazio per altre eventuali attività, la cui programmabilità, da parte dello stesso prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, c. 1, Cost.) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa" (Trib. Bologna 20 febbraio 2012 n. 166)
Con la conseguenza che, come affermato anche dalla Corte di Cassazione, "il carattere necessariamente bilaterale della volontà in ordine a tale riduzione nonché alla collocazione della prestazione lavorativa in un determinato orario (reputato dalle parti come il più corrispondente ai propri interessi) comporta che ogni modifica di detto orario non possa essere attuata unilateralmente dal datore di lavoro in forza del suo potere di organizzazione dell'attività aziendale, essendo invece necessario il mutuo consenso di entrambe le parti".
Peraltro, le stesse ragioni che impediscono al datore di lavoro di modificare unilateralmente - ossia, in assenza di uno specifico ed espresso accordo raggiunto al riguardo con il lavoratore interessato – gli accordi sulla durata e sulla collocazione temporale della prestazione lavorativa ridotta, escludono anche la validità di disposizioni della contrattazione collettiva che concedano al datore di lavoro un potere simile. Infatti, tali norme parimenti comprometterebbero la capacità del lavoratore di pianificare altre attività per integrare il reddito derivante dall'impiego a tempo parziale. Preservare questa possibilità, come ribadito in diverse occasioni dai nostri giudici, è fondamentale, poiché solo attraverso di essa il lavoratore può legittimamente accettare una retribuzione inferiore, garantendo comunque una vita libera e dignitosa per sé e la propria famiglia.
Con la conseguenza che la variazione della collocazione temporale non è ritenuta possibile neanche nel caso in cui venga prevista da accordi col sindacato cui è iscritto il singolo lavoratore interessato. Ciò a conferma della regola secondo cui la contrattazione collettiva può disporre solo in senso migliorativo rispetto a quanto previsto dal contratto individuale di lavoro, salvo il caso in cui il dipendente con un esplicito mandato non consenta espressamente alla modificazione dei patti.
Si segnala che, da ultimo, il Tribunale di Torino ha avuto modo di occuparsi di una fattispecie dove il datore di lavoro aveva unilateralmente variato l'orario di lavoro di una propria dipendente – assunta part-time nell'ambito di un appalto di servizi – a seguito della decisione della committente di chiudere anticipatamente la propria struttura oggetto dell'appalto, rendendo di fatto impossibile la prestazione lavorativa. Il Tribunale di Torino ha escluso che anche la configurazione di un'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa possa legittimare il datore di lavoro a variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione, poiché trattasi di circostanze che rilevano esclusivamente sul piano del rischio imprenditoriale e non possono ricadere sulla posizione dei dipendenti (Trib. Torino 16 marzo 2023, n. 561).
È importante chiarire come il tassativo paradigma giurisprudenziale appena presentato, che di fatto non sembra ammettere deroghe (evidentemente, fermo quanto si dirà nel successivo paragrafo), non potrà mai essere applicato invece al contratto di lavoro a tempo pieno “nel quale un'eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe in una vera e propria negazione del diritto dell'imprenditore di organizzare l'attività lavorativa” (Cass. 17 dicembre 2004, n. 23552).
Le clausole elastiche inserite nel contratto individuale di lavoro
Possiamo allora vedere come il carattere bilaterale della volontà delle parti in ordine alla collocazione temporale della prestazione – per il rapporto di lavoro part-time –, risulti essere l'unico elemento rilevante e decisivo, ai fini della legittimità del potere distributivo del datore di lavoro. Lo stesso Legislatore, mediante il D.lgs. 81/2015, ha confermato la possibilità di accordi preventivi tra le parti attraverso l'inserimento nel contratto individuale di lavoro di clausole denominate "elastiche".
L'art. 6 del suddetto decreto attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di articolarne la disciplina in generale (salva l'imprescindibile necessità che la clausola sia poi specificamente presente nel contratto di lavoro), ma anche nel caso in cui non esista una disciplina collettiva relativa alle clausole elastiche, l'art. 6 riconosce alle parti coinvolte nel rapporto di lavoro la possibilità di concordare ugualmente tali clausole attraverso l'autonomia individuale assistita. Queste clausole possono essere stabilite sia al momento dell'assunzione, che successivamente nel corso del rapporto di lavoro. In entrambi i casi, è essenziale che la sottoscrizione delle clausole elastiche avvenga di fronte a una commissione di certificazione, la quale è incaricata di assistere le parti coinvolte. L'obiettivo evidente è garantire che il lavoratore abbia compreso appieno il contenuto degli impegni assunti con la stipulazione della clausola e che la volontà espressa sia autentica. La clausola sottoscritta con l'assistenza della commissione deve rispettare un contenuto minimo, il cui mancato rispetto comporta la nullità della clausola stessa, come previsto dall'art.6.
Prima di concludere è necessario evidenziare che al lavoratore che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in quelle di cui all'articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica, altresì, il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non può costituire giustificato motivo di licenziamento.
Il rifiuto del lavoratore alla trasformazione del rapporto
Per completezza, si osserva che principi piuttosto diversi sono stati sanciti nelle ipotesi (peraltro chiaramente non sovrapponibili a quella trattata in precedenza) di trasformazione unilaterale del rapporto di lavoro da full time in part-time, e viceversa.
In una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, è stato infatti affrontato il caso di una dipendente part-time, licenziata dal datore di lavoro in ragione della soppressione della sua posizione lavorativa, motivata dal rifiuto di accettare la proposta di convertire il suo contratto in un impiego a tempo pieno.
La Cassazione, con l'ordinanza n. 29337 del 23 ottobre 2023 ha in particolare evidenziato che “non ricorre il carattere ritorsivo nel licenziamento di una lavoratrice che aveva rifiutato la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno laddove il datore di lavoro dimostri che la richiesta rivolta alla dipendente era da ricondursi a comprovate esigenze organizzative dell'impresa.”
Anche nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time, la giurisprudenza più recente ha ammesso la possibilità di conversione unilaterale del rapporto di lavoro ed il possibile licenziamento per il rifiuto da parte del lavoratore, ma solo nel caso in cui il licenziamento venisse intimato per l'impossibilità dell'utilizzo della prestazione a tempo pieno e per ragioni economiche dimostrate dal datore. Infatti, la Cassazione con la sentenza n. 30093 del 30 ottobre 2023 ha affermato che “In caso di rifiuto della trasformazione del rapporto da full time a part time il dipendente può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell'impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno per effettive ragioni economiche dimostrate dal datore di lavoro. È necessaria, dunque, non solo la prova dell'effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell'orario ma anche quella della impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione, con modalità orarie differenti, quale componente/elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo”.
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