martedì 23/01/2024 • 06:00
Dichiarata dalla Corte Costituzionale la legittimità della disciplina risarcitoria prevista dalle tutele crescenti per i licenziamenti collettivi. La Corte ritiene non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, c. 1, e 10, D.Lgs. 23/2015 (Jobs act).
La Corte Costituzionale ha pubblicato la sentenza 7/2024 in merito al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, unitariamente considerato, e in combinato disposto con l'art. 3, c. 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183). L'indennità risarcitoria prevista dalle tutele crescenti in merito alla normativa sui licenziamenti collettivi, è stata dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale. La decisione ha respinto le contestazioni sulla sua costituzionalità, pur mettendo in evidenza la necessità di una particolare attenzione in maniera generale alla materia. Secondo la Corte le perplessità sollevate sull'efficacia di rimedi diversi della reintegra nella tutela dei lavoratori arbitrariamente licenziati e assunti dopo il 7 marzo 2015 è contraddetto dalla costante giurisprudenza che, pur segnalando che la garanzia del diritto al lavoro impone l'adozione contrappesi al potere di recesso del datore di lavoro, individua nella tutela reale solo uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro (sentenze 183/2022, 150/2020, 194/2018 e 46/2000). Le tutele crescenti La decisione della Corte Costituzionale prende il via da un'azione della Corte d'Appello di Napoli; la Corte d'Appello dubitava sulla regolamentazione relativa ai licenziamenti collettivi, in particolare proprio in merito alle ripercussioni della mancata osservanza dei criteri di selezione dei dipendenti in esubero in caso di licenziamenti collettivi. Con il sistema sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in attuazione della Legge delega n. 183/2014 il lavoratore ha diritto a un risarcimento economico, ma non alla reintegrazione nel posto di lavoro. Infatti attraverso il Jobs Act viene esclusa la possibilità di reintegrare nel posto di lavoro i dipendenti licenziati per motivi economici, assunti appunto con contratti a tutele crescenti a partire dal 7 marzo 2015. Viene introdotto un sistema di compensazione economica mentre la reintegra rimane in ogni caso presente ma limitata esclusivamente ai casi di licenziamenti nulli, discriminatori, o in alcune situazioni specifiche di licenziamento disciplinare ingiustificato. Le motivazioni del giudizio Nel rispondere all'istanza proposta viene argomentato, anche riprendendo i precedenti interventi della medesima Corte, che il bilanciamento dei valori previsti dagli artt. 4 e 41 Cost., ossia tra il diritto al lavoro e libertà d'impresa, possa essere gestito con metodologie differenti. Non viene infatti imposto al Legislatore un determinato regime di tutela (sentenza 46/2000) e per questo motivo la Corte ribadisce che è possibile una tutela monetaria, purché la stessa risulti ragionevole. Proprio in merito al criterio di ragionevolezza della tutela monetaria vengono richiamate, per vicinanza giurisprudenziale, decisioni in merito a disposizioni introduttive di forfetizzazioni legali limitative del risarcimento del danno: tali valutazioni avevano affermato che “la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale” purché sia garantita l'adeguatezza del risarcimento. Il tetto massimo all'indennità Viene quindi ribadito che il limite massimo di 24 mensilità, elevato a 36 mensilità dal DL 87/2018, non è in contrasto con il canone di necessaria adeguatezza del risarcimento richiamato. Il ristoro previsto normativamente deve, secondo la Corte, realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto. In merito all'adeguatezza della misura, ai fini della sua verifica, la Corte la paragona con l'indennità sostitutiva della reintegrazione, di cui all'art. 18, c. 3, Legge n. 300/1970 o all'art. 2, c. 3, D.Lgs. n. 23/2015 pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto e quindi inferiore alle 36 mensilità ora raggiunte. Sulla decisione di inserire un tetto massimo all'indennità viene ritrovata la motivazione nella necessità, dichiarata anche nella legge delega, di garantire conseguenze certe e prevedibili in caso di licenziamento dichiarato illegittimo. Tale aspetto, viene ritenuto anche dalla Corte, un intervento che può avere impatto anche sulle relative assunzioni, agevolandole, come prospettato anche dalla Legge delega. Per i motivi che la Corte ha dettagliato sono state ritenute non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, c. 1, e 10 D.Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui hanno modificato la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell'ambito di un licenziamento collettivo, fissando, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015, la tutela economica in misura di un indennizzo determinato entro un limite massimo fissato per legge ed escludendo quella reintegratoria. Fonte: Corte Cost. 22 gennaio 2024 n. 7
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