lunedì 15/01/2024 • 06:00
Con la riforma fiscale viene abrogata l'acquiescenza processuale (o giudiziale); pertanto, il contribuente non avrà più la possibilità di rinunciare al ricorso e di beneficiare della definizione agevolata delle sanzioni prevista per l'atto alle medesime condizioni già esistenti alla data di notifica dell'atto e prima che questo fosse stato impugnato.
In tema di Statuto dei diritti del contribuente, nell'ambito di attuazione della riforma fiscale, l'art. 2 c. 4 D.Lgs. 219/2023 abroga la disciplina dell'autotutela (di cui all'art. 2-quater DL 564/94) - istituto completamente novellato dal legislatore che ne ha trasfuso la relativa normativa nei nuovi artt. 10-quater e 10-quinquies L. 212/2000. Le novità sull'acquiescenza processuale Dalla lettura delle suddette norme dedicate alla nuova autotutela inserita nello Statuto del Contribuente si evince, tra l'altro, come il legislatore non vi abbia riprodotto la disciplina della c.d. acquiescenza processuale (o giudiziale) contenuta nel comma 1-sexies dell'art. art. 2-quater DL 564/94 che, pertanto, può ritenersi definitivamente abrogata. L'ormai desueto istituto concedeva, nei casi di annullamento o revoca parziale di un atto impositivo nei cui confronti era stato presentato un ricorso, una sorta di rimessione in termini a favore del contribuente/ricorrente il quale poteva avvalersi in pendenza del relativo giudizio degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l'atto impugnato (ed oggetto di annullamento o revoca parziali) alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto e prima che questo fosse stato impugnato - a condizione, però, che vi fosse la successiva rinuncia al ricorso con conseguente estinzione del processo. Trattasi di un particolare istituto deflattivo del contenzioso - che, in realtà, non sembrerebbe avere mai avuto un rilevante successo applicativo - utilizzabile nei casi in cui, dopo avere presentato impugnazione avverso un atto impositivo, il contribuente ottenga in pendenza di giudizio una rettifica parziale in autotutela della pretesa impositiva da parte dell'A.F. In tali ipotesi, egli poteva decidere di proseguire la querelle o di abbandonare la lite e rinunciare al ricorso, pagando le (minori) imposte e gli interessi correlati alla parte dell'atto non annullata ed usufruendo della definizione agevolata delle sanzioni a cui avrebbe potuto accedere al momento della notifica dell'atto laddove avesse accettato sin dal principio la pretesa e rinunciato ad impugnare. Esempio Al fine di comprendere meglio il funzionamento dell'abrogato istituto, si pensi al caso in cui l'A.F. notifichi un avviso di accertamento contenente due diverse contestazioni – di cui una legittima ed incontestabile ed un'altra palesemente errata per la quale sussistano le condizioni per un annullamento in autotutela che, tuttavia, l'ente accertatore non intende concedere. In simili ipotesi, non essendo possibile prestare acquiescenza parziale nei confronti dell'atto impositivo parzialmente illegittimo, il contribuente sarebbe costretto a presentare ricorso avverso l'intera pretesa, incardinando un contezioso (evitabile) e perdendo la possibilità di accedere ai benefici sanzionatori previsti dall'art. 15 c. 1 D.Lgs. 218/97 – recante la disciplina della c.d. acquiescenza mediante cui, in casi di rinuncia ad impugnare può pagare in misura agevolata le sanzioni irrogate dall'A.F (attualmente in misura di 1/3 del minimo edittale). In caso di rettifica parziale di atti già impugnati effettuata in autotutela dall'A.F. in pendenza di giudizio, l'abrogato art. 2-quater c. 1-sexies, DL 564/94 offriva al ricorrente/contribuente la scelta di proseguire con il processo per contestare la parte dell'atto non annullata oppure di porvi fine: prestando acquiescenza alla minore pretesa impositiva rettificata; pagando le imposte residue post-rettifica (con interessi) e le sanzioni in misura agevolata così come avrebbe potuto fare ai sensi del menzionato art. 15 c. 1 D.Lgs. 218/97 se l'atto fosse stato predisposto sin dal principio senza errori ed il contribuente non fosse stato costretto ad impugnare; rinunciando al ricorso. Cosa cambia per i contribuenti Il contribuente non avrà più la possibilità di abbandonare la lite, neppure nel caso in cui ritenga che le proprie ragioni difensive siano state in toto soddisfatte dal parziale annullamento dell'atto impugnato. Il processo dovrà necessariamente proseguire con riferimento alla parte di atto non oggetto di rettifica: l'unica chance per definire in anticipo la controversia senza la necessaria sentenza del giudice tributario sembrerebbe essere costituita – ove attuabile - dalla conciliazione con sanzioni da corrispondere nella diversa misura del 40% o del 50% o del 60% - il cui meccanismo procedurale, tuttavia, è differente e comporta in ogni caso maggiori adempimenti a carico di entrambe le parti processuali e delle segreterie delle Corti di Giustizia Tributaria. Tra i criteri della L. 111/2023 (c.d. delega per la riforma fiscale) vi è una diffusa esigenza di creare meccanismi deflattivi del contenzioso; vi si afferma espressamente la necessità di “prevedere interventi di deflazione del contenzioso tributario in tutti i gradi di giudizio, ivi compreso quello dinanzi alla Corte di Cassazione, favorendo la definizione agevolata delle liti pendenti”. Senonché, con i primi provvedimenti attuativi della riforma è stato abrogato il descritto istituto deflattivo dell'acquiescenza in pendenza di processo (la cui concreta applicazione, tuttavia, non sembrerebbe essere stata molto diffusa) a cui, giova segnalare, si è aggiunta l'abrogazione dell'art. 17-bis D.Lgs. 546/92 recante la disciplina della fase di reclamo-mediazione –istituto che, per i giudizi aventi ad oggetto un valore della lite non superiore ad € 50.000,00, sembrerebbe avere svolto, ove ben utilizzato da contribuenti ed Uffici finanziari, un'importante funzione deflattiva evitando l'instaurazione di procedimenti giurisdizionali tributari. Tutto ciò sembrerebbe in contrasto con i suddetti criteri espressi nella legge delega. È necessario, tuttavia, rammentare come il legislatore abbia parallelamente potenziato l'istituto della conciliazione prevedendo che le norme in materia di conciliazione fuori udienza si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione ed ammettendo, per i ricorsi in Cassazione notificati dal 5 gennaio 2024, la possibilità di stipulare la conciliazione giudiziale con sanzioni da corrispondere nella misura del 60%. Non si può escludere, inoltre, che con prossimi provvedimenti legislativi si introducano nuove disposizioni volte a rafforzare ulteriormente l'istituto della conciliazione e/o ad introdurre nuove forme di definizione agevolata delle controversie già pendenti con l'auspicio di smaltire l'imponente lavoro delle Corti di Giustizia Tributaria - in maniera più incisiva rispetto a quanto effettuato nel 2023 con gli istituti deflattivi previsti dalla c.d. Tregua fiscale (ex legge di Bilancio 2023).
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