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giovedì 04/01/2024 • 06:00

Fisco PIATTAFORME DIGITALI

DAC7: comunicazione dati delle prestazioni intermediate entro il 31 gennaio

Nell'ambito del contrasto del sommerso e della condivisione dei dati (obiettivi della DAC7) tutte le App residenti in Italia (e non solo) devono comunicare all'Agenzia delle entrate, entro il 31 gennaio 2024, i dati delle prestazioni intermediate, anche in ambito di affitti brevi, per scovare i venditori professionali ignoti al fisco.

di Emiliano Covino - Avvocato cassazionista, Professore aggiunto Unitus, Ricercatore Tor Vergata

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Dall'evasione materiale di operatori al consumo alle vendite on-line tra privati

Per molto tempo l'economia sommersa, non di tipo illecito, era essenzialmente collegata all'evasione materiale dei piccoli operatori economici che vendono ai consumatori finali non interessati a registrare la transazione. Quando le dimensioni aziendali sono ridotte, svaniscono anche le ragioni gestionali per redigere la documentazione fiscale per finalità interne; non serve una documentazione che indichi ai piccoli operati al consumo quanto guadagnano. La documentazione di questi piccoli operatori diventa affidabile solo quando i clienti sono da organizzazioni amministrativamente spersonalizzate, che impongono l'integrale emersione dei ricavi, effettuando ritenute o segnalando i fornitori al fisco. Nella misura in cui hanno una clientela di innumerevoli consumatori finali, queste piccole organizzazioni realizzano facilmente l'evasione in senso materiale consistente nella mancata registrazione di una parte significativa degli incassi.

Questo era valido fino all'avvento di internet, o meglio – ancor più di recente – alla diffusione di App per lo scambio (elemento di vendita nell'ambito più generale dei social media). Le evasioni in senso materiale si sono estese ai rapporti “tra privati”, prima limitate alle locazioni abitative di lunga durata, al lavoro domestico (colf e badanti) o le ripetizioni scolastiche, quali unici esempi di evasione da soggetti privi di partiva IVA, senza la visibilità, troppo sfuggenti e poco significative, per farle oggetto di attenzione diretta da parte dell'Agenzia delle entrate.

Con l'era digitale una buona fetta dell'economia sommersa ha iniziato a riguardare operazioni tra privati, senza partita IVA, che vendono, scambiano, prestano servizi ed affittano beni. Dai collezionisti di oggettistica varia (orologi di lusso in primis) alla vendita di vestiti usati fino alle case vacanza, passando per i cake designer e le cene a domicilio, le App gestiscono ora immensi flussi economici non più B2C (Business to consumer, ossia la forma di evasione materiale sopra descritta), ma C2C (consumer to consumer), in questo scambio di beni e prestazioni tra privati. Anche se, a ben vedere, è sbagliato di parlare di scambi tra privati, perché molti venditori sono organizzati in forma imprenditoriale (almeno nell'accezione ampia di imprenditore fiscale), svolgendo abitualmente un'attività di tipo economico legato alla cessione onerosa di beni/servizi; si tratterebbe in realtà di imprenditori di fatto, per il fisco perfettamente sconosciuti, ma ben visibili sulla rete. Su quest'ultimo profilo si è inserita la recente normativa europea connessa alla direttiva DAC7.

La normativa europea di scambio di informazioni sull'e-commerce

La DAC7, Direttiva in materia fiscale dell'Unione europea, è entrata in vigore il 1° luglio 2021, imponendo alle piattaforme online di comunicare alle autorità fiscali del paese di residenza le informazioni riguardanti le vendite e i guadagni degli utenti della App. Queste ultime sono quindi legalmente obbligata a raccogliere e comunicare i dettagli sul reddito e sui contribuenti relativi ai venditori che raggiungono una determinata quantità di vendite o guadagni. In Italia, la DAC7 è stata recepita attraverso il D.Lgs. 32/2023, integrando in più parti dal provvedimento firmato dal direttore dell'Agenzia delle entrate (Prot. n. 406671/2023), con cui sono state rese pienamente operative queste disposizioni, specificando scadenze e modalità di comunicazione.

L'intento di tutto l'apparato normativo è quello – evidentemente – di contrastare l'evasione fiscale legata alle transazioni economiche che avvengono esclusivamente online, attraverso portali di intermediazione. Trattandosi di commerci che difficilmente sono collegati ai confini nazionali di competenza delle varie autorità fiscali, attualmente è pressoché impossibile ricostruire la frequenza e l'effettivo volume d'affari degli utenti interessati. L'unico modo per avere una visione più credibile è quello di attivare l'obbligo di comunicazione delle informazioni da parte dei gestori dei portali alle autorità fiscali dei loro paesi di residenza, per poi provvedere allo scambio automatico delle informazioni tra le varie amministrazioni pubbliche europee. Questo è obiettivo della DAC7, con cui si vorrebbe distinguere il privato che vende su internet una vecchia auto, un televisore o i mobili della casa della nonna, da chi tramite internet svolge attività d'impresa, intermediando opere d'arte, beni di lusso oppure offrendo servizi di cucina, lezioni on line di fitness, lingua straniera, e via discorrendo. Non si tratta, quindi, di cessioni estemporanee o eventuali plusvalenze occasionali tra privati, ma di attività d'impresa o lavoro autonomo svolta con abilità e continuità senza la partita IVA, senza versare tasse e contributi, pur in presenza di modalità di pagamento tracciate e ben conosciute dall'App di intermediazione.

Vendere un vecchio orologio a un prezzo doppio di quello che si è pagato e una plusvalenza tra privati fiscalmente irrilevante, scambiare in continuità oggetti di lusso ricavandone un margine sostanzioso è attività di impresa a tutti gli effetti, che deve anche sottostare alle regole IVA. Tutto ciò è contrastabile solo se le App che fanno da intermediari nelle vendite comunichino i dati dei loro utenti, il loro volume d'affari, la frequenza delle vendite, la tipologia di merce/servizio ceduto ed altre informazioni utili all'amministrazione finanziaria per individuare un imprenditore/lavoratore autonomo evasore totale, nella marea di transazioni di modico valore ed occasionali svolte dagli altri utenti “non business” della rete.

Cosa verrà comunicato il 31 gennaio 2024 e condiviso tra gli Stati UE entro il 29 febbraio 2024

La prima scadenza prevista per la comunicazione di questi dati da parte delle App di intermediazione scade il 31 gennaio 2024. In quella data, i gestori di piattaforme web residenti in Italia (o con una stabile organizzazione nel nostro Paese) dovranno comunicare all'Agenzia delle entrate i dati sulle vendite di beni e sulle prestazioni di servizi realizzate dai loro utenti. Poiché gran parte degli operatori Internet sono fiscalmente residenti al di fuori Unione europea, in alcuni settori “a rischio” come gli affitti brevi (su cui ci soffermeremo oltre), la normativa DAC7 l'obbligo di comunicazione da parte dei Foreign Platform Operator (“Fpo”), ossia di siti di intermediazione extra-UE, anch'essi tenuti a comunicare i dati all'Amministrazione finanziaria italiana

Le informazioni riguarderanno essenzialmente i dati necessari all'identificazione del venditore (persone fisiche o giuridiche) e alla quantificazione del relativo giro d'affari maturato online. Le modalità di comunicazione seguiranno le procedure ormai rodate della fatturazione elettronica, attraverso l'invio di file predisposti secondo il formato XML. Trattandosi una normativa comunitaria finalizzata alla cooperazione nel contrasto all'evasione, tutte le amministrazioni fiscali europee dovranno mettere a disposizione entro il 29 febbraio 2024 le informazioni ricevute, comunicando quelle di interesse in base allo Stato di residenza del venditore e gestite da società di App residenti in Italia; simmetricamente, l'Amministrazione italiana riceverà i dati relativi ai venditori residenti in Italia per operazioni gestite su App residenti in altro Stato UE. Infatti, un cittadino italiano può utilizzare una App francese o tedesca che non ha l'obbligo di comunicare direttamente al nostro Fisco i dati dei propri utenti, ma attraverso lo scambio di informazioni tra Stati Ue si ottiene lo stesso risultato.

Infine, nell'ottica della DAC7 di fornire alle PA informazioni per distinguere gli “operatori business occulti” dagli utenti privati occasionali, è stato previsto un generalizzato esonero da comunicazione di chi risulta essere al di sotto della soglia di attenzione per attività commerciale occulta, attualmente fissata meno di 30 cessioni di beni/servizi l'anno, sempre che l'importo totale del corrispettivo versato o accreditato non sia superiore a 2.000 euro annui. Il superamento di una delle due soglie fa scattare l'obbligo di segnalazione in capo alla App. Teoricamente, quindi, anche la cessione di un solo veicolo l'anno, di solito per un valore superiore ai 2 mila euro,  dovrebbe far scattare la segnalazione da parte della App di vendita on-line; ovviamente, la mera segnalazione non renderà in automatico agli occhi della PA il venditore del veicolo un concessionario d'auto professionale, purché la transazione sia effettivamente occasionale e non frutto di una intermediazione sistematica da parte  -  ad esempio - di un restauratore/riparatore sconosciuto al Fisco.

L'ulteriore stretta sugli affitti brevi: obbligo di segnalazione particolareggiato

Buona parte del sommerso tra privati è concentrato negli affitti brevi, tramite le famose App specializzate. Dopo il sostanziale ritorno della cedolare secca sul principale sito di case vacanze (a seguito dell'indagine penale a carico di Airbnb che non applicava la ritenuta d'imposta ai propri utenti), il provvedimento del Direttore AE di attuazione  della DAC7 pone particolare attenzione all'obbligo di comunicazione proprio dei siti d'intermediazione immobiliare ad uso locatizio. Il provvedimento obbliga alla comunicazione, oltre alle società di App residenti/stabilite in Italia (obbligate in generale a prescindere dal settore operativo), anche per i Foreign Platform Operator (Fpo), ossia i gestori stranieri non qualificati extra Ue, comunque tenuti a comunicare i dati all'Agenzia delle entrate se operativi nella facilitazione delle locazioni di immobili situati in Italia. Il primo e più ovvio riferimento per l'individuazione di questi Fpo va verso suddetta società americana Airbnb ed alla concorrente booking (anch'essa statunitense), che insieme gestiscono buona parte degli affitti brevi on-line nel mondo.

Molti sono i dati che dovranno essere comunicati in questo settore, tra i quali spiccano l'identificazione dei proprietari dell'immobile, ammontare dei corrispettivi, eventuali ritenute applicate sugli stessi (la famigerata cedolare secca, finora poco praticata), dati dell'immobile affittato e numero di giorni di affitto. Le stesse piattaforme web saranno tenute alla trasmissione delle informazioni alle autorità fiscali degli Stati membri dell'Unione Europea, in cui si trovano le proprietà, con prima scadenza il 31 gennaio 2024.

Conclusioni

Complessivamente si tratta di un numero elevato di informazioni ottenibile tramite la DAC7, tutte di rilevante valore investigativo, di cui l'Agenzia delle entrate non poteva essere a conoscenza se non attraverso la collaborazione (coartatati) degli intermediari, i quali ovviamente finora non avevano visto di buon occhio questo obbligo, perché fisiologicamente lesivo dell'attrattività dei loro servizi. Dopo gennaio 2024, alcuni utenti del web meno spregiudicati avranno più ritrosia a svolgere una palese attività commerciale on-line senza partita IVA, causando con un calo dei flussi da parte di quest'ultima. Tuttavia, un argine era inevitabile per contrastare questa economia parallela di operatori virtuali, presenti solo sulla rete, ma capaci di generare flussi reddituali degni di attività commerciali ben strutturate, più che sufficienti a mantenere il titolare che godeva di una detassazione di fatto. Ora sarà compito dell'Agenzia delle entrate filtrare questa immensa mole di informazioni provenienti da tutta l'unione europea, in modo da renderle utilizzabili per verifiche fiscali più accurate. Del resto, troppe informazioni equivalgono a nessuna informazione, se manca a monte una capacità di elaborazione di questi flussi informatici, in modo da finalizzare i futuri controlli fiscali, che comunque rimarranno limitati per la ristrettezza di risorse utilizzabili a tal fine. Questa novità dovrebbe spingere a controlli più mirati e di facile dimostrazione del volume d'affari non dichiarato. Forse in questo contesto potrebbe essere utile la tanto decantata intelligenza artificiale, che dovrebbe aiutare le pubbliche amministrazioni a gestire nella maniera più efficiente possibile questo immenso database.

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