mercoledì 03/01/2024 • 06:00
Per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro hanno rilevanza indici sussidiari quali l’assegnazione di una postazione di lavoro fissa, dotata di strumenti di lavoro forniti dall’azienda, il versamento di un compenso fisso mensile e la continuità della prestazione. A ricordarlo è la Cassazione con la sentenza n. 35853 del 22 dicembre 2023.
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Nel caso in esame la Corte distrettuale aveva accolto il reclamo proposto da un lavoratore e, riformando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la sua committente, a far tempo dal 2013, con inquadramento nel livello AC2 del CCNL Legno e Arredo Industria e nullo il licenziamento intimatogli oralmente, con conseguente condanna della società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a corrispondergli una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra.
Nello specifico, la Corte distrettuale aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti sulla base dei seguenti indici sussidiari (emersi dalle prove testimoniali e documentali): l'assegnazione di una postazione di lavoro fissa, dotata di strumenti di lavoro forniti dall'azienda (computer, scrivania, telefono); versamento di un compenso fisso mensile; continuità della prestazione e assenza del rischio di impresa ed anche di una pur minima organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore.
La Corte d'appello aveva così ritenuto che l'interruzione del rapporto, intimata dalla società senza forma scritta, avesse integrato gli estremi di un licenziamento nullo ex art. 18, comma 1, della Legge n. 300/1970.
La società soccombente decideva di ricorrere in cassazione, affidandosi a tre motivi, ovvero per aver la sentenza:
Resisteva il lavoratore con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione adita ha considerato inammissibile il primo motivo poiché esso censura, non l'applicazione dei parametri normativi ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato, ma la concreta valutazione delle risultanze istruttorie attraverso riferimenti a prove documentali e testimoniali raccolte, contrapponendo in tal modo all'accertamento compiuto dai giudici di secondo grado una diversa ricostruzione sulle modalità concrete di lavoro del lavoratore.
A sostegno della posizione assunta la Corte di Cassazione ha richiamato l'orientamento secondo il quale “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l'individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo” (fra tutte Cass. 17009/2017; Cass. 9808/2011; Cass. n. 13448/2033).
La Corte di Cassazione ha poi ritenuto inammissibile il secondo motivo perché investe la qualificazione giuridica data dalla Corte distrettuale alla interruzione del rapporto di lavoro tra le parti e, quindi, pone una questione di diritto che esula dall'ambito del vizio denunciato. Oltretutto, secondo la Corte di Cassazione, la società non ha specificato se e in che termini detta questione sia stata posta nella fase di merito, non facendosene alcun cenno nella sentenza d'appello.
La Corte di Cassazione ha, infine, considerato inammissibile il terzo motivo; i giudici di merito hanno ritenuto non contestato il contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore, ricostruite come mansioni di “designer” ed eseguite “con ampia discrezionalità tecnica (….) elaborando progetti, interfacciandosi con i clienti e curando la loro corretta realizzazione da parte del reparto falegnameria”. Ed è sulla base di tale accertamento che il lavoratore è stato inquadrato nel livello AC2 del CCNL Legno e Arredamento.
Sul punto, ha evidenziato la Corte di Cassazione, la società (tra le altre) ha criticato l'inquadramento contestando non l'opera di sussunzione svolta dai giudici di merito ma la ricostruzione fattuale in ordine al ruolo del lavoratore, di guida e controllo nell'esecuzione dei progetti da parte del reparto falegnameria.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il ricorso è stato considerato inammissibile dalla Corte di Cassazione, con condanna della società alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.
Fonte: Cass. 22 dicembre 2023 n. 35853
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