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martedì 19/12/2023 • 06:00

Fisco DALLA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Dividendi alla controllante non residente: non si applica la ritenuta

L'esiguità di personale non può provare la natura fittizia della controllante ma l'unico elemento normativamente rilevante ai fini della nozione di beneficiario effettivo è costituito dall'autonomia della società madre percipiente sia nell'adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti.

di Massimo Romeo - Esperto fiscale e pubblicista

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  • Tempo di lettura 5 min.
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Il caso

Una società italiana, operante nel settore della produzione e commercio di prodotti inerenti l'industria chimica, impugnava un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate per recuperare le maggiori ritenute d'imposta dovute sui dividendi versati alla consociata olandese. L'accertamento dell'Ufficio era essenzialmente fondato sugli indizi della abusività delle società facenti parte del gruppo di appartenenza della ricorrente. In particolare, con riferimento alla diretta controllante olandese, l'Agenzia motivava l'accertamento con la mancanza di mezzi e personale e la carenza di elementi idonei a dimostrarne l'esercizio del potere di disposizione sui dividendi percepiti. I giudici di primo grado avevano ritenuto provata la fittizietà delle consociate estere in quanto nel corpo della struttura societaria europea erano transitate consistenti risorse finanziarie finalizzate a remunerare gli azionisti della capogruppo newyorkese. La società italiana eccepiva in appello il vizio di ultrapetizione in cui sarebbero incorsi i giudici di primo grado ponendo a fondamento della loro decisione la presunta condotta dolosa costituita dalla volontà di assicurare la distribuzione dei dividendi ai soci della capogruppo, laddove, invece, l'Ufficio aveva motivato la propria pretesa con la carenza dei requisiti soggettivi delle consorziate in ordine all'applicazione della norma agevolativa (art. 27 bis, comma 5, del d.P.R. 600/73). Veniva, inoltre, eccepito l'error in iudicando in relazione alla mancanza di prova della residenza in un paese UE della ricorrente, società che, secondo la Corte di primo grado, era stata la beneficiaria effettiva dei dividendi versati dalla società contribuente alla consociata olandese. A riguardo, la ricorrente sosteneva che:

  • nessuno dei suoi azionisti era dotato dei poteri di controllo necessari per indirizzare il flusso dei dividendi;
  • le società del gruppo erano state tutte adeguatamente capitalizzate e che la residenza degli azionisti della società non aveva alcuna rilevanza al fine di configurare la condotta elusiva della ritenuta d'imposta;
  • i primi giudici non avevano verificato lo status di beneficiario effettivo delle società del gruppo.

L'elemento rilevante

I giudici d'appello, nel propendere per l'accoglimento delle ragioni della parte privata, ha ritenuto che l'esiguità di personale non potesse provare la natura fittizia della controllante olandese. Sul punto, la Corte lombarda ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 27113 del 28/12/2016) nella parte in cui ha statuito che, per giungere all'accertamento della condotta abusiva, «…occorre valutare la sussistenza in concreto dell'unico elemento normativamente rilevante ai fini della nozione di beneficiario effettivo, costituito dalla padronanza ed autonomia della società madre percipiente sia nell'adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti (in alternativa alla loro traslazione alla capogruppo sita in un paese terzo). Tali “spie” funzionali della figura del beneficiario effettivo ben possono prescindere dalla mancanza o esiguità degli indici normalmente riferiti alle società operative; sicché il non considerare questo nevralgico aspetto di causa ha comportato – quale conseguenza applicativa erronea – l'esclusione del credito d'imposta, in sostanza, sulla base del solo rapporto di controllo intercorrente tra la capogruppo statunitense a la società madre residente in Francia (sub holding preposta alla direzione e coordinamento delle sussidiarie del gruppo in Sud Europa)».

La peculiarità della struttura del gruppo societario

I giudici hanno messo in evidenza la peculiare struttura del gruppo di appartenenza della società ricorrente in cui alla holding olandese facevano capo le società operative del gruppo, articolate in filiere nazionali o di area. La Corte ha osservato come la holding si configurasse, pertanto, come la holding delle società operative di tutto il gruppo globale e ad essa (e solo ad essa), in quanto azionista unico, la società italiana distribuiva i dividendi che le spettavano.

L'indicatore di rilievo

Un indicatore di rilievo, hanno osservato gli interpreti, per poter ritenere fondata la tesi della fittizietà del soggetto interposto è proprio la circostanza che possa individuarsi la funzione svolta dalla società nel gruppo di appartenenza, in modo da escludere che la stessa abbia la sola funzione di reindirizzare i dividendi delle partecipate. Nel caso di specie, assolvendo la holding olandese la funzione di sovrintendere alle società operative doveva escludersi che fosse stata costituita nell'ambito di una costruzione artificiosa. La tesi dell'Ufficio, con riferimento alle controllanti olandesi, non poteva, pertanto, ritenersi provata, né con riguardo alle loro caratteristiche soggettive delle società controllanti, né con riguardo alla condotta elusiva: la consociata olandese esercitava la sua peculiare funzione di holding delle società operative nel contesto dell'architettura del gruppo, pensata per concentrare la gestione delle funzioni finanziarie, amministrative e di servizio in distinte holding, facenti capo alla capogruppo.

Fonte: CGT II Milano 11 dicembre 2023 n. 3627

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