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lunedì 18/12/2023 • 06:00

Speciali VERSIONE ITALIANA

Pienamente operativa la nuova disciplina sul whistleblowing

Con la piena operatività anche per le PMI della nuova disciplina in materia di whistleblowing giunge a compimento il processo di riforma di questa materia iniziato con l’entrata in vigore all’inizio dell’anno del D.Lgs. n. 24/2023, emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937.

di Luca Failla - Avvocato - Managing Partner studio boutique Failla & Partners

di Paola Salazar - Avvocato in Milano

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  • Tempo di lettura 8 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Questa disciplina – la cui denominazione trae ispirazione dagli ordinamenti di Common Law – è stata inizialmente introdotta nel nostro ordinamento giuridico in stretta connessione con gli adempimenti e gli obblighi derivanti dalla disciplina specifica sulla responsabilità amministrativa degli enti – il  D.Lgs. n. 231/2001 - con l'obiettivo di tutelare la posizione di coloro che avendo notizia di condotte illecite durante l'esercizio della propria attività lavorativa potessero procedere a segnalarlo in modo anonimo all'interno dell'azienda per l'adozione delle doverose sanzioni da parte delle competenti autorità.

La previgente disciplina – contenuta nella Legge 179/2017 - aveva inteso introdurre, accanto al sistema di tutele già presente per il settore pubblico, anche una specifica disciplina di tutela per il settore privato ma solo limitatamente alle aziende che avessero adottato le procedure di governance previste dalla disciplina speciale prevista dal D.Lgs. n. 231/2001. Nel settore privato l'obiettivo era quello di assicurare uno o più canali specifici di segnalazione degli illeciti direttamente connessi con la violazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex 231, assicurando all'autore della segnalazione anonimato e riservatezza. L'azienda, inoltre, era tenuta a precostituire un valido sistema di gestione finalizzato a rendere concreta la tutela del segnalante, al fine di evitare che provvedimenti quali azioni disciplinari, trasferimenti, mutamento di mansioni o licenziamenti, potessero essere considerati nulli perché rivolti, anche inconsapevolmente, nei confronti dell'autore di una segnalazione e in quanto tali, per effetto dell'operatività di tale nuova disciplina, ritorsivi o discriminatori.

Il nuovo decreto – proprio in funzione dei più ampi obiettivi di tutela previsti dalla Direttiva comunitaria – va oltre l'ambito della disciplina specifica in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex 231 e rende da questo punto di vista più incisivo e vincolante il meccanismo di protezione del segnalante, anche dall'adozione di provvedimenti che possono essere considerati ritorsivi.  

Dal punto di vista soggettivo, sono oggi tenute ad implementare un sistema di protezione, oltre agli enti già tenuti all'adozione dei Modelli 231, tutte le società che, nell'ultimo anno, hanno avuto più di 50 dipendenti, nonché gli enti che operano in settori specifici come servizi, prodotti, mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, indipendentemente dal requisito dimensionale.

La novità non è di poco conto, perché accanto a tale requisito soggettivo pone anche alcuni criteri oggettivi caratterizzati da un'ampia identificazione di comportamenti cui può essere riferita la segnalazione e che possono comprendere non solo i reati e le violazioni già contemplati dal D.Lgs. n. 231/2001 ma anche fatti ulteriori e più ampi rispetto a ciò che è riconducibile alla responsabilità amministrativa degli enti, comunque appresi nel contesto lavorativo.

Per quanto riguarda il diritto nazionale, come risultante dall'elencazione contenuta nel decreto si fa riferimento ad illeciti amministrativi, contabili, civili o penali, esclusi quelli che rientrano tra le violazioni del diritto dell'Unione europea indicate nel medesimo D.lgs. n. 24/2023 e tutte quelle condotte illecite rilevanti ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e delle violazioni dei modelli di organizzazione e gestione previsti da tale decreto, escluse quelle che rientrano tra le violazioni del diritto dell'Unione europea specificamente indicate dallo stesso D.lgs. n. 24/2023.

Le violazioni della normativa europea, invece, includono gli illeciti rientranti nell'ambito di atti dell'Unione europea o nazionali indicati nell'Allegato 1 del D.lgs. n. 24/2023, nonché atti nazionali che ne costituiscono attuazione anche se non indicati nell'Allegato 1 del D.lgs. n. 24/2023, relativi ad alcuni specifici settori indicati dal medesimo decreto, secondo un'elencazione che si configura notevolmente ampia perché abbraccia non solo l'ambito degli appalti pubblici – solitamente particolarmente sensibile a specifiche violazioni – ma anche ad esempio la sicurezza dei trasporti; la tutela dell'ambiente; la sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; la salute pubblica; la protezione dei consumatori; la tutela della vita privata, la protezione dei dati personali e la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi oltre ai servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; nonché gli atti che ledono interessi finanziari dell'Unione (art. 325 TFUE).

Non solo, risultano poi significative, nel contesto della nuova disciplina, anche le novità in materia di gestione del rapporto di lavoro. Si tratta di previsioni più complesse e incisive rispetto alla disciplina che era stata introdotta nel 2017. Un primo esempio è la revisione della definizione di licenziamento discriminatorio che è il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o conseguente all'esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblico effettuate ai sensi del nuovo decreto n. 24/2023 (art. 4 L. n. 604/1966). Viene in pratica inserito nell'ordinamento giuridico uno strumento ulteriore di valutazione degli atti di discriminazione diretta e indiretta. Vi è poi una più significativa elencazione degli atti di gestione del rapporto di lavoro oggetto di uno specifico divieto di ritorsione che coinvolge in primo luogo il segnalante ma anche gli altri soggetti ai quali il decreto assicura tutela (persone del medesimo contesto lavorativo del segnalante e colleghi di lavoro, come indicato dall'art. 3 del D.Lgs. n. 24/2023). Atti che, se posti in essere, sono per legge dichiarati nulli e atti nei confronti dei quali l'azione è consentita, tra l'altro, solo sulla base della presunzione di essere stati adottati per effetto della segnalazione, salvo prova contraria da parte di colui che li ha posti in essere (artt. 17 e 19 D.Lgs. n. 24/2023).

Costituiscono infatti ritorsione (art. 17, c. 4 D.Lgs. n. 24/2023):

a)  il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;

b)  la retrocessione di grado o la mancata promozione;

c)  il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell'orario di lavoro;

d)  la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell'accesso alla stessa;

e)  le note di merito negative o le referenze negative;

f)  l'adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;

g)  la coercizione, l'intimidazione, le molestie o l'ostracismo;

h)  la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;

i)  la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;

l)  il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;

m)  i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;

n)  l'inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l'impossibilità per la persona di trovare un'occupazione nel settore o nell'industria in futuro;

o)  la conclusione anticipata o l'annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;

p)  l'annullamento di una licenza o di un permesso;

q)  la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

L'ordinamento interno ha in pratica introdotto uno strumento di protezione dai fenomeni e dai comportamenti che possono essere ricondotti ad illeciti e a forme di corruzione che, non solo è in linea con lo sviluppo della legislazione europea in questa materia, ma che si configura per la maggior parte degli operatori pubblici e privati anche particolarmente oneroso, soprattutto da un punto di vista amministrativo. L'adeguamento alla nuova disciplina da parte delle organizzazioni richiederà l'adozione di policy più strutturate sia da un punto di vista tecnico – anche ai fini del corretto trattamento dei dati dei segnalanti e dei potenziali autori degli illeciti – sia dal punto di vista della governance, per l'incisività della nuova disciplina sulle procedure disciplinari e in generale sulla gestione HR.

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