sabato 25/11/2023 • 06:00
Una sanzione doganale pari al 50% dei maggiori diritti contestati può ritenersi proporzionata. È questo il principio stabilito dalla Corte di Giustizia europea, con la sentenza 23 novembre 2023, C-653/22, destinato a riflettersi anche sulle sanzioni applicate dalle Dogane italiane, che raggiungono fino al 600% dei diritti contestati.
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Proporzionata la sanzione doganale pari al 50% dei diritti pretesi
È legittima una sanzione doganale pari al 50% dei diritti contestati dalla Dogana. A stabilirlo è la Corte di Giustizia europea con la sentenza 23 novembre 2023, C-653/22, la quale ha ribadito che ogni Stato membro UE deve individuare sanzioni proporzionate, effettive e dissuasive.
Affinché la sanzione possa dirsi proporzionata, occorre avere riguardo al sistema sanzionatorio nel suo complesso. È necessario, infatti, che siano previste sanzioni diverse in relazione alla condotta dell'operatore. Se il sistema sanzionatorio prevede diverse tipologie di sanzioni che tengono in considerazione il comportamento più o meno diligente dell'importatore, una contestazione pari al 50% dei diritti può ritenersi proporzionata.
Nel caso esaminato dal giudice europeo, una Società ungherese aveva acquistato alcune biciclette e parti di biciclette, provenienti da Taiwan. Poiché la merce era scortata da validi certificati di origine rilasciati dalla Camera di Commercio taiwanese, al momento dell'importazione, la Società aveva dichiarato che i prodotti avevano origine Taiwan.
Soltanto a seguito di un'indagine Olaf, la Dogana ha contestato l'origine dichiarata, ritenendo che i prodotti fossero in realtà di origine cinese. L'Amministrazione doganale ungherese ha contestato alla Società il pagamento dei maggiori dazi antidumping, irrogando una sanzione pari al 50% dei diritti contestati.
Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha ritenuto legittima la sanzione applicata dalla Dogana.
Il sistema sanzionatorio ungherese prevede, infatti, sanzioni differenti a seconda della condotta dell'importatore. In particolare, la sanzione può variare dal 200% dei dazi contestati, se l'operatore ha agito in mala fede, fino al 25% nel caso in cui l'importatore in buona fede rettifichi l'errore. In tale contesto, una sanzione pari al 50% della pretesa può ritenersi legittima.
Il sistema sanzionatorio italiano e ungherese a confronto
La sentenza della Corte di Giustizia esprime un principio fondamentale anche per le Dogane italiane: nonostante gli Stati membri siano liberi di adottare diverse sanzioni per le ipotesi di inosservanza di obblighi volti a garantire la corretta riscossione dell'imposta e ad evitare la frode, queste ultime non devono eccedere quanto necessario al raggiungimento dello scopo perseguito.
A differenza del sistema ungherese, nel nostro ordinamento sono previste sanzioni molto più gravose per gli operatori.
L'articolo 303 del Testo unico delle leggi doganali (DPR 43/73), prevede infatti un sistema sanzionatorio “a scaglioni”, con la conseguenza che l'Agenzia delle dogane può applicare sanzioni che superano anche il 500 o il 600% dell'entità dei tributi accertati. Una penalità irragionevolmente alta, che spesso non tiene in considerazione la natura meramente colposa dell'errore commesso dall'importatore.
Poiché il sistema sanzionatorio italiano è “rigido”, generalmente anche la sanzione minima prevista dall'art. 303 Tuld, si pone in contrasto con il principio di proporzionalità delle sanzioni.
Tale principio, com'è noto, è espressamente previsto dal Codice doganale dell'Unione europea (Reg. UE 952/2013). L'articolo 42 Cdu stabilisce, infatti, che le sanzioni devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive”.
Sul punto, è ormai consolidato l'indirizzo della Corte di Giustizia europea, la quale ha chiarito che le sanzioni non devono eccedere quanto strettamente necessario per assicurare la corretta riscossione dei tributi e prevenire l'evasione (Corte di Giustizia, sentenza 8 marzo 2022, C-205/20, NE; Corte di Giustizia, sentenza 17 luglio 2014, C-272/13, Equoland; Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, C-263/11, Rēdlih). Nello stesso senso, anche la Corte di Cassazione ha più volte stabilito che la sanzione doganale deve essere parametrata alla gravità della violazione commessa e al coefficiente psicologico dell'autore, ossia il dolo o la colpa (sentenze 12 novembre 2020 n. 25509 e 11 maggio 2022, n. 14908).
In attesa della riforma spetta al giudice disapplicare le sanzioni sproporzionate
La necessità di assicurare l'applicazione di una sanzione doganale proporzionata ai tributi accertati è uno dei temi al centro della legge delega per la riforma fiscale (l. 111/2023). Tra le principali novità, la riforma prevede, infatti, una riscrittura delle sanzioni amministrative ispirata ai principi contenuti nell'art. 42 Cdu e, in particolare, alla proporzionalità delle penalità irrogate rispetto all'ammontare del tributo evaso, con l'inserimento di soglie di punibilità, al fine di tenere conto del livello di gravità delle azioni sanzionabili.
In attesa che la riforma operi una significativa riscrittura dell'art. 303 Tuld, è compito del giudice valutare se le sanzioni irrogate dalla Dogana sono proporzionali all'entità della pretesa e alla condotta dell'operatore.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, spetta al giudice nazionale verificare che l'importo della sanzione irrogata dall'Amministrazione non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell'assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e, in tal caso, disapplicare la norma sanzionatoria (Cass. 11 maggio 2022 n. 14908).
Le sanzioni possono, essere disapplicate o rideterminate dal giudice, in considerazione della prevalenza del principio europeo di proporzionalità. Tale principio impone, infatti, una specifica valutazione del caso concreto ed esclude la validità di una sanzione “minima”, stabilita in via automatica e astratta dal legislatore.
Fonte: CGUE 23 novembre 2023 - C-653/22
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