La legge di delega per la riforma fiscale, avendo come obiettivo principale quello di “stimolare la crescita economica attraverso l'aumento dell'efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale”, non poteva tralasciare un comparto dell'economia nazionale con grande potenziale di crescita, ma finora svilito dalla mancanza di un quadro normativo fiscale certo: la vendita di opere d'arte e, in generale, di beni da collezione.
A fronte della lacuna normativa, da molti anni si è posto il problema di stabilire dove finisce il collezionista e inizia il mercante d'arte, soggetto alla disciplina del reddito d'impresa. E, anche in mancanza di un'attività d'impresa, si è sviluppato un dibattito dottrinale sulla distinzione tra “collezionista puro” e “speculatore occasionale”, ricadente nella disciplina dei redditi diversi.
Distinzione che vede:
da un lato, i collezionisti “puri” che acquistano per il piacere di vivere con le opere, senza un interesse per la profittabilità dell'investimento perché sono compensati dal piacere estetico che traggono dal possesso dell'opera, il c.d. dividendo estetico;
dall'altro lato, i collezionisti “a tempo”, che acquistano le opere come status symbol o come investimento commerciale con aspettative finanziarie.
Il problema è che queste separate figure in Italia, sebbene non siano previste da alcuna norma, sono state individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in modo non univoco, con conseguente incertezza dei collezionisti sulla rilevanza fiscale della loro attività.
L'intervento del legislatore
Come si legge nella relazione illustrativa che accompagna la legge delega per la riforma fiscale, il legislatore interviene sul tema proprio con “la finalità di porre rimedio alla situazione di incertezza oggi esistente”.
In particolare, nel numero 3) della lettera h) dell'art. 5 è prevista “l'introduzione di una disciplina sulle plusvalenze conseguite, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, dai collezionisti di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell'ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l'intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale”.
Il principio fissato dal legislatore delegante riecheggia la disciplina vigente prima del TUIR: l'art. 76 DPR 597/73, che prevedeva la tassazione delle plusvalenze realizzate mediante operazioni poste in essere con intento speculativo e non rientranti fra i redditi d'impresa, con la presunzione dell'intento speculativo qualora tra l'acquisto e la vendita di oggetti d'arte o in genere da collezione non fosse trascorso un periodo di tempo superiore a due anni. Il superamento dell'attuale situazione di incertezza, quindi, dovrebbe avvenire mediante il riferimento all'intervallo temporale intercorrente fra acquisto e vendita del bene.
D'altra parte, secondo la relazione illustrativa, dovrebbero essere individuate dal legislatore delegato alcune circostanze di fatto idonee ad escludere l'intento speculativo che prescindono dal semplice intervallo temporale tra acquisto e vendita dei beni da collezione, come l'acquisto a titolo gratuito, la vendita mediante permuta con altri oggetti da collezione oppure la devoluzione del corrispettivo all'acquisto di altri “pezzi da collezione” entro un periodo “congruo”.
Nella redazione del decreto legislativo sarà importante declinare questa possibile previsione in modo coerente con gli obiettivi della delega. In particolare, si dovrà tener presente che vincolare l'irrilevanza fiscale della cessione al fatto che vi sia stata una permuta oppure che il corrispettivo sia rapidamente reinvestito per arricchire la collezione rischia, in alcuni casi, di generare l'incertezza che si intendeva superare. Cosa succede se il pagamento avviene soltanto in parte con permuta ed in parte in denaro? Cosa succede se il corrispettivo non è integralmente utilizzato per acquistare un'altra opera?
L'unico criterio oggettivo per superare definitivamente l'attuale situazione di incertezza è la scelta di un intervallo temporale intercorrente fra acquisto e vendita del bene, con una disposizione legislativa analoga a quella prevista nell'ordinamento tedesco. Nel sistema tedesco, infatti, le vendite occasionali di beni, compresi quelli da collezione come le opere d'arte, sono tassabili soltanto se la vendita avviene entro il periodo di speculazione, individuato in un anno dall'acquisto.
Il legislatore delegato, dunque, potrebbe mantenere la casistica della relazione illustrativa aggiungendo, poi, come norma di chiusura l'irrilevanza fiscale delle vendite effettuate oltre il periodo di speculazione.
Oltre all'individuazione delle plusvalenze imponibili, il Governo dovrà determinare le modalità di calcolo della base imponibile e, quindi, del “valore fiscalmente riconosciuto” dell'opera che si intende vendere. Un criterio analitico dovrebbe tener conto, oltre che del prezzo d'acquisto, anche dei costi accessori concernenti l'acquisto, la conservazione e la cessione (custodia in caveau, sistemi d'allarme, assicurazioni, trasporto, perizie, certificati di autenticità, restauro, commissioni di case d'asta). Tale criterio comporterebbe un notevole onere documentale e, dunque, per ragioni di semplificazione, sarebbe opportuno prevedere anche un metodo opzionale di determinazione forfettaria della plusvalenza.
Conclusioni
Un altro aspetto che il decreto legislativo dovrebbe considerare è il coordinamento delle nuove disposizioni con quelle di recente riservate agli NFT costituenti beni collezionabili, intesi quali certificati di proprietà digitali collegati a beni da collezione (materiali o digitali che siano). La legge di bilancio 2023 ha infatti previsto la tassazione come redditi diversi delle plusvalenze concernenti tutte le cripto-attività, in virtù di una forzata loro equiparazione a quelle con spiccate caratteristiche finanziarie (è il caso, per esempio, delle criptovalute). Sicché la circolazione di beni collezionabili risulterebbe imponibile o, all'opposto, esente da tassazione in conseguenza delle modalità di circolazione e conservazione dei collezionabili oggetto di compravendita. Questa soluzione, oltre a costituire una discriminazione non giustificabile, penalizzerebbe il mercato digitale dell'arte in Italia. Dunque, per perseguire gli obiettivi di sviluppo economico e superamento dell'incertezza sul regime fiscale, il legislatore delegato dovrebbe attrarre gli NFT “collezionabili” nella nuova disciplina accordata agli «oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, … opere dell'ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative».
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