Il paradigma di una PMI sostenibile si potrebbe basare sulle parole utilizzate da Chunka Mui (2016) : “Think Big, Start Small, Learn Fast”
Think BIG
Pensa in grande, ovvero poniti degli obiettivi e fallo assegnando alla sostenibilità la valenza che gli spetta, integrandola nel modello di business e creando valore attraverso una sostenibilità che non sia solo di prodotto ma anche di processo.
Start Small
Inizia in modo piccolo, ovvero definisci un percorso di sostenibilità a piccoli step, basato sul continuous improvement, in cui bisogna tenere conto non solo dei successi, ma soprattutto degli insuccessi, in cui la materialità deve rappresentare più che il punto di partenza di un report di sostenibilità, di un vero e proprio piano strategico di sostenibilità.
Learn Fast
Impara velocemente, ovvero dedica risorse, non solo finanziarie, ma soprattutto organizzative, formando capitale umano, sensibilizzando la governance, imparando dagli altri che prima di te hanno avviato percorsi di trasformazione sostenibile accompagnando aspetti di forma ad aspetti di sostanza.
Il paradigma di una PMI sostenibile
La scelta di questo paradigma non è casuale, in quanto la relazione tra innovazione (e per certi versi trasformazione digitale) e sostenibilità è duplice, reciproca e soprattutto costituisce il binomio indissolubile su cui si fondano i piani strategici non solo di Paesi, ma anche di varie organizzazioni complesse, tra le quali rientrano a pieno titolo le aziende (pubbliche e private) nella qualità di attori socio-economici.
Il senso di disorientamento di accademici, imprenditori, manager e consulenti aziendali nel riconsiderare l’utilità della funzione aziendale assegnata alla sostenibilità aleggia, tuttavia, da qualche tempo è determinato, in parte, dal contesto geopolitico attuale che, probabilmente, non ha precedenti, se si considera la somma di eventi tragici susseguitisi, pandemici, bellici e climatici, in parte, dall’eccessiva dose di regolamentazione in ambito UE, soprattutto in tema di sostenibilità.
Spiego meglio questa mia affermazione, provando a sostenere la tesi che probabilmente, entrambi questi fattori, stanno seriamente mettendo in discussione una delle motivazioni fondamentali, o almeno una delle più importanti, per cui la sostenibilità oggi è praticata dalle aziende, quella di rappresentare una condizione necessaria per garantire la continuità aziendale, il vantaggio competitivo, la creazione di valore per favorire la crescita, o meglio lo sviluppo economico, o meglio ancora lo sviluppo sostenibile.
In particolare, la regolamentazione in tema di finanza sostenibile, di gestione sostenibile nella catena del valore e di comunicazione delle informazioni di sostenibilità, unita al relativo processo di standardizzazione delle informazioni di sostenibilità, può rappresentare in una prospettiva di medio-lungo termine una minaccia per la funzione competitiva (instrumental theory) che a livello aziendale riveste la sostenibilità.
La pratica codificata della sostenibilità, l’eccesso di compliance, l’etica d’impresa derivata dalla finanza, rappresentano solo alcune delle problematiche che oggi ritroviamo nelle imprese quotate, nelle banche e nelle imprese finanziarie di grandi dimensioni, ovvero negli Enti di Interesse Pubblico, alcuni dei quali hanno probabilmente perso di vista la piena integrazione che c’è tra business e sostenibilità, considerando, nonostante tutto, la sostenibilità un appendice della gestione aziendale, non assegnandole quella funzione di “lente” attraverso la quale guardare gli accadimenti aziendali.
In questa prospettiva, mi piace ricordare una delle definizioni che probabilmente rappresentano con maggiore efficacia il significato di Corporate Social Responsibility: “A concept whereby companies integrate social and environmental concerns in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a voluntary basis” (Fonte: Commission of the European Communities, 2001).
E bene, proprio questo approccio volontario è una delle prerogative della responsabilità sociale d’impresa e, quindi, della sostenibilità, ciò che porta, in altre parole, un’impresa dall’avere un grado di integrazione della CSR nella strategia di tipo informale, ovvero fondata su iniziative non sistematiche, ad una di tipo dominante, in cui la CSR diviene un tratto dominante della cultura aziendale.
In tale prospettiva, quella della volontarietà appunto, diviene, pertanto, fondamentale il ruolo che le PMI possono rivestire in futuro nel processo di transizione verso gli ESG, nella qualità di agenti economici che, seppur coinvolti nelle catene di fornitura o di distribuzione degli EIP, non possono perdere di vista la propria identità, il purpose, la propria funzione sociale di istituto.
La scelta del Legislatore Europeo di escludere dall’ambito di applicazione della CSRD le PMI non quotate, prevedendo, eventualmente, l’applicazione volontaria di standard di rendicontazione, seppur in una versione “semplificata”, rappresenta per le PMI un’occasione imperdibile per implementare un approccio alla sostenibilità di tipo differenziato, identitario, fondato sulla volontà e non sull’obbligo del farlo, come nel caso degli EIP.
Questo non significa che l’adozione degli standard di rendicontazione per una PMI rappresenti necessariamente un problema, tutt’altro, l’adozione di standard per il reporting di sostenibilità costituisce per le PMI un processo di cambiamento organizzativo in cui rientrano non soltanto aspetti di reporting, ma aspetti più propriamente riconducibili alla strategia, alla governance ed alla gestione appunto.
Ripercorre la struttura dello standard ESRS 2 – Informazioni generali, pubblicato il 31 luglio 2023, dalla Commissione europea nell’ambito dell’allegato 1 del Regolamento Delegato, aiuta a meglio comprendere la finalità che muove la redazione di un report di sostenibilità, ovvero l’esigenza di implementare la sostenibilità in un processo che impatti la governance, la strategia, la gestione degli impatti, dei rischi e delle opportunità, le metriche e gli obiettivi.
Conclusioni
Questo è il percorso obbligato da seguire per qualsiasi tipologia di azienda, grande o piccola che sia, compatibilmente con le risorse finanziarie ed organizzative di cui un’azienda dispone. Una PMI che intende fare questo, difficilmente può incorrere in quello che tecnicamente è definito decoupling, ovvero la separazione tra policy e practice, tra ciò che si fa e ciò che si rendiconta, incorrendo in fenomeni quali il green-washing, il blue-washing, il pink-washing e, più in generale, l’SDG washing.
L’impatto che la CSRD avrà nel 2025, allorché si amplierà l’applicazione della rendicontazione delle informazioni di sostenibilità anche alle imprese di grandi dimensioni, ovvero le imprese che superano i di tre dei seguenti parametri: 250 dipendenti medi occupati, 20 milioni di euro di attivo e 40 milioni di euro di fatturato, amplierà significativamente la platea di soggetti obbligati alla rendicontazione.
Ciò, probabilmente, creerà un mercato dei servizi di consulenza e di assurance “dopato”, in cui gli operatori vorranno trattare la sostenibilità alla stregua di una semplice commodity e in cui sarà necessario per una PMI, che intende differenziarsi per il proprio orientamento strategico alla sostenibilità mantenere un elevato grado di rigore e di commitment sul tema.
Giuffrè Francis Lefebvre è presente al Congresso Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili 2023.
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