martedì 17/10/2023 • 06:00
La Cassazione, con l’ordinanza n. 27331 del 26 settembre 2023, risolve le incertezze in merito alla cessazione del rapporto di lavoro in caso di comportamento concludente, chiarendo che il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti in modalità esclusivamente telematica, pena l’inefficacia dell’atto.
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L'ordinanza della Corte di Cassazione n. 27331 del 26 settembre 2023 esprime il principio di diritto sulle modalità di risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. 151/2015.
Come noto, secondo tale disposizione, il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell'atto.
A tal fine, per gli ermellini non c'è spazio per l'applicazione delle pronunce giurisprudenziali antecedenti all'entrata in vigore del D.Lgs. 151/2015, che avevano portato la Corte d'appello di Catania, confermando la decisione di primo grado, ad accertare la legittimità delle dimissioni rese dal lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro.
I giudici di merito, avevano richiamato consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale aveva espresso un principio di diritto necessario per risolvere i profili di incertezza sulla effettiva causa di estinzione del rapporto di lavoro, con particolare riguardo al criterio di riparto dell'onere probatorio ove, a fronte dell'intervenuta cessazione del rapporto di lavoro senza formalità scritte, una parte (il lavoratore) deduca un sopravvenuto provvedimento di espulsione dall'azienda e l'altra parte (il datore di lavoro) eccepisca l'intervenuta determinazione di dimissioni.
La giurisprudenza passata
Segnatamente, era stato enunciato in passato il seguente principio di diritto: "Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l'osservanza della forma prescritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell'esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa - anche avvalendosi dell'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 421 c.p.c. - e solo nel caso perduri l'incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dall'art. 2697, c. 1, c.c., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa" (Cass. 8 febbraio 2019 n. 3822).
Le dimissioni telematiche
Tornando all'art. 26 D.Lgs. 151/2015, dal 12 marzo 2016, salve le ipotesi di inapplicabilità previste, è previsto che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro debbono essere fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con le modalità telematiche previste dal DM Min. Lav. 15 dicembre 2015.
Il condivisibile scopo della norma ha dato attuazione all'art. 1, c. 6 lett. g), Legge 183/2014 nella parte in cui è stata data delega all'esecutivo di assicurare la data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Tuttavia, lo stesso legislatore ha disatteso l'attuazione di quella parte di delega, contenuta nella medesima disposizione richiamata, che prevedeva si dovesse tenere conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore.
La mancata attuazione di tale parte di delega ha lasciato i datori di lavoro a dover valutare e gestire le modalità per procedere al recesso dal rapporto di lavoro nei purtroppo non rari casi di lavoratori che non si presentano più per prestare la propria attività lavorativa.
Secondo la Corte di Cassazione che ha pronunciato l'ordinanza n. 27331/2023, il D.Lgs. 151/2015 ha introdotto per le dimissioni (e per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro) l'onere della forma scritta.
È stato quindi pronunciato il seguente principio di diritto: “ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. 151/2015, il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell'atto.”.
Nell'accogliere il ricorso del lavoratore, pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio affinché la Corte di appello, in diversa composizione, prendendo atto della normativa applicabile al caso di specie, valuti l'efficacia dell'atto di dimissioni e l'eventuale successivo regime sanzionatorio applicabile.
A tal fine, nel caso di inefficacia della risoluzione si ritiene debba tenersi conto che, con riferimento al caso di cessazione dell'esecuzione delle prestazioni lavorative, il lavoratore non ha diritto alla retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione lavorativa determinando una "mora accipiendi" del datore di lavoro (ex multis Cass. 23 novembre 2006 n. 2006).
Fonte: Cass. 26 settembre 2023 n. 27331
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