lunedì 09/10/2023 • 06:00
Scaduto il periodo di comporto, non basta procedere tempestivamente con il licenziamento. È sempre necessaria il nesso causale tra provvedimento datoriale ed assenze per malattia, che il giudice deve accertare tenendo conto delle circostanze concrete: sottoporre il lavoratore a visita medica può interrompere il nesso causale tra il licenziamento ed il superamento del comporto.
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Un lavoratore malato ha diritto alla conservazione dell'occupazione entro un determinato periodo, definito “di comporto”, superato il quale il datore di lavoro lo può licenziare, ai sensi dell'art. 2110 c.c., senza motivazioni diverse dal superamento dei termini di conservazione del posto. In altre parole, ed in termini generali, il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente di legittimità del recesso datoriale, nel senso che un datore di lavoro, per procedere con il licenziamento, non deve dimostrare la ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo o la sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa: basta che il dipendente si sia assentato per malattia per un periodo superiore a quello di conservazione del posto. Non serve altro.
Tuttavia, ciò non significa che un licenziamento per superamento del comporto possa essere liberamente intimato in qualsiasi momento successivo allo scadere del termine del periodo protetto, poiché è comunque necessario che il recesso venga comunicato al lavoratore con ragionevole tempestività, e che il provvedimento datoriale continui a trovare la propria causa nella protratta assenza dal lavoro per malattia del dipendente.
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