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venerdì 06/10/2023 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Comportamenti offensivi verso le colleghe: legittimo il licenziamento

La Cassazione, con ordinanza n. 27363 del 26 settembre 2023, ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente, nella specie il direttore del personale, che si era reso protagonista di comportamenti particolarmente sgradevoli ed offensivi nei confronti di due colleghe.

di Alessandro Marchese - Avvocato, studio Ichino Brugnatelli e associati

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La vicenda, le fasi e gradi del giudizio di merito

Un'azienda ha intimato la massima sanzione espulsiva, il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c., nei confronti del proprio direttore del personale per alcune condotte connotate da particolare disvalore che, in un contesto lavorativo, assumono, come vedremo oggettivamente, maggiore gravità. Il lavoratore, nella specie, ha dato una “pacca sul fondoschiena di una collega” ed in un'altra occasione ha espresso apprezzamenti sul fondoschiena di una collega la quale, di spalle, era intenta a fare delle fotocopie e nella circostanza il lavoratore ha sottolineato il fatto che la collega avesse una certa età. L'azienda, anche alla luce della vigenza di un Codice Etico interno i cui valori di rispetto della dignità della persona sono del tutto irrinunciabili, a seguito del procedimento disciplinare, ha receduto per giusta causa dal rapporto di lavoro.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento subìto e nel primo grado di giudizio (nella duplice fase sommaria e di opposizione) il licenziamento è stato dichiarato illegittimo, con il conseguente ordine di reintegrazione in servizio e versamento delle mensilità non lavorate ai sensi dell'art. 18, c. 4, Legge 300/70 (il c.d. Statuto dei Lavoratori). Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza proponendo ricorso in appello innanzi alla Corte d'Appello di Palermo, la quale ha ribaltato la pronuncia del primo giudice. In particolare, la Corte territoriale ha proposto una diversa lettura interpretativa della comunicazione di avvio del procedimento disciplinar, rivalutando anche, in toto, l'istruttoria espletata, e ciò per giungere ad un esito di segno diametralmente opposto a quello del Tribunale. In sostanza, è stato attribuito maggior valore all'obiettivo disvalore sociale della condotta, ulteriormente rilevando il fatto che sono state violate “basilari norme della civile convivenza e dell'educazione”. Sulla scorta di tali a argomenti il licenziamento è stato quindi confermato ed il lavoratore è stato condannato alla restituzione del risarcimento ricevuto dall'azienda datrice di lavoro in attuazione della pronuncia di primo grado.

La giusta causa di licenziamento ed i criteri per la sua individuazione

La produzione giurisprudenziale rispetto alla qualificazione degli elementi che caratterizzano la giusta causa di licenziamento è molto vasta ma tendenzialmente univoca: “la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare” (Cass. 9 luglio 2015 n. 14311, ed in senso conforme, Cass. 26 giugno 2015 n. 13168; Cass. 3 aprile 2015 n. 686). In altre parole, nella formazione del proprio convincimento è necessario che il giudice abbia particolare riguardo anche al “dolo” (e dalla sua intensità) da cui è scaturita la condotta disciplinarmente rilevante.

Ciò vale in particolare per le ipotesi che non sono tipizzate dalla contrattazione collettiva come meritevoli di licenziamento per giusta causa. Questo perché la norma di cui all'art. 2119 c.c. sulla giusta causa configura una norma “elastica”, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato (Cass. 29 ottobre 2021 n. 30933): in buona sostanza la valutazione sulla sussistenza di una giusta causa di recesso deve essere operata con riferimento:

  • ad aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto;
  • alla posizione delle parti;
  • al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente;
  • al nocumento eventualmente arrecato;
  • alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi;
  • all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo.

A ben vedere, i predetti elementi sono stati, tutti, presi in considerazione sia dalla Corte Territoriale e poi anche dalla Suprema Corte che ha, appunto, ritenuto corretto l'iter motivazionale della sentenza di merito impugnata dal lavoratore, il cui ricorso ha insistito parecchio sulla minimizzazione dell'elemento intenzionale che la Corte di merito non avrebbe colto.

La valutazione dell'intenzione del lavoratore licenziato

Il ricorso per cassazione promosso dal lavoratore licenziato si doleva, tra i vari motivi sviluppati, del fatto che la Corte d'Appello non avesse correttamente valutato le condotte sotto il profilo soggettivo, atteso che, secondo la prospettazione del lavoratore, i gesti avevano natura goliardica, cameratesca, ed erano privi, quindi, di ogni intento e connotazione offensiva o lesiva della dignità personale delle colleghe. La Corte di Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione operata dalla Corte di merito ponendo in prima battuta l'accento su aspetti più oggettivi nel senso che le condotte accertate sono all'evidenza intollerabili che i fatti addebitati dovevano essere "valutati esclusivamente per il loro obbiettivo disvalore sociale". Tuttavia, nonostante una prima valutazione meramente oggettiva, lo sviluppo motivazionale prende in considerazione anche l'elemento soggettivo caratterizzato da intenzionalità evidenziando che i gesti hanno, contrariamente alla tesi del lavoratore, “finalità tutt'altro che goliardiche e cameratesche”. I Giudici della Suprema Corte, per escludere tali finalità, si soffermano su una circostanza soggettiva apprezzata dalla Corte di merito e cioè il rapporto tra le persone coinvolte che “era connotato da assoluta formalità ovvero dalla totale assenza di atteggiamenti confidenziali”. I Giudici sottolineano che “i protagonisti degli eventi all'origine del licenziamento non erano camerati volontariamente inclini ad intrattenere uno scherzo pesante, bensì un capo del personale e due dipendenti che gli si rivolgevano dandogli del ‘lei' e con il rispetto dovuto ad un soggetto in posizione di superiorità gerarchica”.

La Cassazione rimarca il carattere offensivo delle condotte del responsabile del personale, richiamando i criteri sopra esposti ed osservando, quindi, che la valutazione sulla gravità dei fatti non può prescindere dall'inquadramento dei medesimi fatti nel contesto lavorativo in cui sono stati posti in essere. Non è un caso che l'ordinanza della Cassazione valorizzi la circostanza che i gesti del responsabile del personale sono stati posti in essere quando le colleghe erano “intente a disimpegnare i compiti loro affidati”.

È importante, ad avviso di chi scrive, porre molta attenzione a questo nucleo della motivazione: in un'epoca ed in un contesto sociale che ripugna giustamente attenzioni ed apprezzamenti non richiesti sull'aspetto fisico della donna, a maggior ragione in un contesto lavorativo, i commenti sull'aspetto fisico della donna ed anche il diretto approccio tramite una pacca sul luogo di lavoro, assumono, e devono assumere, una rilevanza disciplinare massima. Tuttavia, fermo il fatto che una corretta gestione del personale deve approcciarsi con la massima severità a questi temi, bisogna tenere presente l'esistenza di sensibilità diverse e soprattutto di rapporti interpersonali che possono essere di varia natura; ciò impone a chi è chiamato a valutare situazioni di questa natura di approcciarsi caso per caso, avendo cura di tenere anche in debita considerazione i criteri elaborati dalla giurisprudenza.

Fonte: Cass. 26 settembre 2023 n. 27363

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