sabato 23/09/2023 • 06:00
La diffusione dei social network ha favorito anche l’emergere di nuove forme di lavoro da parte di coloro che, grazie ad una forte e costante presenza sul web, riescono a monetizzare i loro contenuti creativi. Molte sono però le criticità riscontrabili di fronte all’emergere di questi nuovi lavori, che dovranno inevitabilmente essere affrontate dal legislatore.
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Negli ultimi anni, nel contesto di un profondo mutamento di abitudini e costumi imposto dal periodo emergenziale pandemico, è cresciuto in modo esponenziale il numero delle persone che, attraverso una forte e costante presenza sul web e sui social network, riescono a guadagnare visibilità nei confronti degli utenti delle piattaforme (cc.dd. “follower”), finendo per riuscire “monetizzare” i loro contenuti creativi.
Problemi e criticità di una nuova professione
Pur a fronte dell’estrema eterogeneità di un fenomeno che appare tanto nuovo da sfuggire ai classici criteri classificativi del diritto, pare ormai scontato che l’attività dei content creator – ovvero di coloro che tramite il web e le piattaforme digitali svolgono un’attività remunerata di creazione di contenuti digitali – non possa più dirsi confinata ad una componente meramente ludica, ben potendo essa dar luogo ad una vera e propria attività lavorativa remunerata, in quanto tale meritevole di apprezzamento e tutela sul piano giuridico (sarà infatti utile ricordare che, ai sensi dell’art. 34 della Costituzione, la Repubblica è tenuta a tutelare il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”).
Una volta appurata la natura ontologicamente lavorativa dell’attività svolta dai content creator, emergono inevitabilmente una serie di problematiche assai ardue e complesse da risolvere.
Il primo aspetto che balza agli occhi – anche non conoscendo troppo le peculiarità del settore – è quello connesso all’età dei soggetti che, entrando a far parte delle varie piattaforme social esistenti sulla rete, sono libere di svolgere un’attività di creazione di contenuti digitali. Il limite di età richiesto per poter produrre contenuti tramite le piattaforme social, infatti, è oggi di soli 14 anni, e ciò mal si concilia con la legislazione in materia di lavoro minorile, che come noto subordina l’accesso al lavoro al possesso di almeno 16 anni di età, con facoltà di deroga in caso d'assunzione con contratto d'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale oppure per lo svolgimento di attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, previa autorizzazione scritta dell’Ispettorato del Lavoro e assenso dei genitori.
Per nulla secondario (seppur forse meno “originale”) è pure il profilo connesso alla qualificazione giuridica del rapporto: infatti, se da un lato l’attività dei content creator si distingue per la particolare autonomia e la creatività che ne caratterizza l’operato, dall’altro lato emerge una forte disparità di potere negoziale tra la piattaforma e il content creator, il quale solitamente può fare ben poco per mettere in discussione le regole imposte dal suo “committente” (senza contare, poi, che alcune piattaforme addirittura subordinano la concessione dello “status” di content creator alla produzione di un certo numero di contenuti su base giornaliera o periodica, con tutte le conseguenze che vedremo poco più avanti).
Oltre a ciò, l’esame delle regolamentazioni dei principali social network fa emergere anche l’esistenza di veri e propri sanzionatori in capo alle piattaforme, che possono arrivare, in taluni casi, fino alla sospensione o alla disattivazione dell’account; il che – visto sotto la “lente” del diritto del lavoro – si traduce inevitabilmente in un impedimento all’esercizio di un’attività lavorativa.
Gli esiti dell’indagine conoscitiva compiuta dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati
Come è stato evidenziato dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, in Italia manca ancora un quadro non solo normativo ma anche definitorio che possa dirsi anche solo minimamente soddisfacente nell’ottica di dare risposte ad un fenomeno in continua crescita ed evoluzione come quello dei content creator (il riferimento va ai lavori prodotti all’esito dell’indagine conoscitiva sui “lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali”, il cui materiabile è liberamente consultabile on line).
L’indagine conoscitiva si è conclusa con un chiaro monito al (futuro) legislatore: pur ponendo l’accento sulla necessità di stabilire un maggiore equilibrio nei rapporti tra piattaforme e content creator (anche in termini di trasparenza delle condizioni contrattuali), la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha preconizzato l’adozione di un “unico compendio normativo” che dovrebbe trarre i propri elementi caratterizzanti, in parte, dalla disciplina del lavoro autonomo “di seconda generazione” (il riferimento va inteso alla disciplina del lavoro tramite piattaforme digitali), in parte, da quella del lavoro subordinato, in parte, infine, dalla legislazione in materia di tutela dei consumatori (non va dimenticato, infatti, che il content creator è non solo “collaboratore” ma anche “utente” della piattaforma).
In attesa che il Governo dia attuazione ai “timidi” criteri direttivi contenuti nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (qui è stato previsto che il Governo debba individuare specifiche categorie per i creatori di contenuti digitali rispetto all’attività economica svolta e prevedere meccanismi dedicati alla risoluzione alternativa delle controversie tra creatori di contenuti digitali e relative piattaforme), si può azzardare una prima elencazione degli strumenti su cui il legislatore potrà o dovrà cimentarsi nell’ottica di delineare una prima regolamentazione del settore.
In primo luogo, potrebbe assumere una rilevanza decisiva il profilo connesso alla trasparenza dei criteri regolamentari adottati dalle piattaforme: rendere trasparenti i criteri utilizzati dalla piattaforma, specialmente laddove il trattamento avvenga su base algoritmica, può contribuire infatti a prevenire dinamiche di natura discriminatoria, oltre che a ridurre lo squilibrio negoziale attualmente riscontrabile tra piattaforma e collaboratore.
Non da trascurare è pure il profilo relativo alla portabilità dei dati: i dati personali trattati dalle piattaforme, infatti, possono contenere anche elementi decisivi per ricostruire la credibilità (e la visibilità) del content creator nel mercato dei servizi digitali; difatti, impedire al content creator di poter “portare con sé” le recensioni ricevute presso una precedente piattaforma, potrebbe cagionare un danno irreparabile al suo “rating” e di riflesso anche sul valore della sua posizione sul mercato.
Parimenti opportuna appare una delimitazione dei poteri sanzionatori che oggi sono rimessi alle piattaforme, che – per quanto è noto – sono molto spesso esercitabili su basi puramente discrezionali.
Anche in questo caso – pur senza scomodare l’apparato di garanzia previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori – ad essere messa in gioco non è solo la dignità professionale del collaboratore ma anche il suo diritto di poter svolgere un’attività lavorativa remunerata senza il rischio di subire sospensioni o disattivazioni del suo account. Ciò peraltro potrebbe incidere in modo favorevole anche sui profili connessi alla tutela della salute dei content creator, al fine di prevenire possibili fenomeni di sfruttamento del loro operato: in quest’ottica potrebbe dunque risultare utile non tanto la previsione di una disciplina dell’orario di lavoro analoga a quella prevista in favore dei lavoratori subordinati (che sarebbe di per sé inattuabile, vista anche l’oggettiva difficoltà di monitorare l’attività dei creatori di contenuti digitali) quanto, piuttosto, l’introduzione di limiti al potere sanzionatorio delle piattaforme in funzione della quantità dell’apporto fornito dal singolo content creator.
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