mercoledì 20/09/2023 • 06:00
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37138/2023 depositata il 12 settembre 2023, chiarisce come sia sequestrabile tanto il credito d’imposta illecitamente maturato quanto il profitto conseguito mediante la cessione dello stesso.
I fatti Gli Ermellini si sono espressi su un ricorso presentato dai difensori degli indagati avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Macerata aveva rigettato la richiesta di riesame volta a contestare il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari su richiesta del Pubblico Ministero titolare di un'indagine in materia di truffa da superbonus. A fondamento del provvedimento di sequestro, il Gip aveva contestato l'esistenza di un gruppo criminale costituito da soggetti appartenenti al mondo dell'edilizia e da professionisti qualificati dedito alla falsificazione della documentazione attestante i requisiti di spettanza del credito d'imposta del tipo superbonus al fine di accedere all'agevolazione fiscale in misura maggiore rispetto a quella effettivamente spettante. Diversamente dal Pubblico Ministero che aveva contestato il reato di truffa ex art. 640, comma 2 n. 1, c.p. il Giudice aveva ritenuto che la corretta fattispecie di reato entro cui sussumere la condotta di cui sopra era da indentificarsi nell'indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316 ter c.p. posto che gli indagati avevano ottenuto indebitamente un credito d'imposta. Secondo il Gip, una volta che il credito è maturato, questo diviene passibile di valutazione economica determinando, per l'effetto, la perfetta configurazione del reato di cui all'art. 316 ter c.p. a prescindere dall'utilizzo che ne viene fatto dal contribuente. Quest'ultimo, infatti, può esercitare il diritto di opzione così come sancito dall'art. 121 DL 34/2020 e decidere se porre in compensazione il suddetto credito con eventuali debiti tributari oppure se monetizzarlo cedendolo ad un terzo soggetto. Ebbene, oggetto del decreto di sequestro (provvedimento che è stato confermato dal Tribunale del Riesame con l'ordinanza oggi impugnata) erano le quote sociali delle società coinvolte, la somma pari a 2.622.508,00 da intendersi quale profitto del reato di cui all'art. 316 ter c.p. in capo alla società beneficiaria del credito d'imposta nonché il profitto derivante dai reati di riciclaggio e autoriciclaggio. Avverso l'ordinanza i difensori degli indagati opponevano l'ambito di estensione del sequestro eccependo, in particolare, che il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche era da ritenersi consumato solo con riferimento alla minor somma di 238.293,85 euro pari, cioè, all'importo dei crediti d'imposta effettivamente portati in compensazione. Detto altrimenti i difensori ritenevano integrato il reato di indebita percezione di erogazione pubbliche solo nella misura in cui il cedente o il cessionario avevano goduto della detrazione non spettante e, per l'effetto, il sequestro non poteva che essere circoscritto all'importo compensato. Il principio espresso dalla Corte Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno richiamare un proprio precedente datato 1996, al fine di descrivere, con uno approccio squisitamente teorico, la distinzione sussistente fra la nozione di prodotto, profitto nonché di prezzo del reato al fine di vagliare la legittimità del provvedimento di sequestro contestato dagli avvocati degli indagati. Più in particolare, in via concettuale, gli Ermellini hanno classificato quale prodotto del reato il risultato ottenuto dal reo direttamente con l'attività illecita mentre il profitto come l'accrescimento del patrimonio dell'autore del reato corrispondente al valore delle cose ottenute mediante la condotta criminosa. Il prezzo, infine, deve intendersi quale compenso dato o promesso per istigare o determinare un soggetto a commettere un reato. Sulla scorta di tali argomentazioni e, a ben vedere, senza alcun approfondimento sulla disciplina in vigore in materia di crediti d'imposta, la Corte ha rigettato integralmente il ricorso presentato dalle difese degli indagati ed ha chiarito come, in linea con i suoi precedenti, debba ritenersi astrattamente sequestrabile tanto il credito d'imposta maturato dal contribuente e presente nel suo portafogli fiscale, quanto il profitto conseguito mediante la cessione dello stesso a terzi soggetti. Ebbene, tale principio parrebbe non andare d'accordo con la disciplina correttamente prospettata per il reato contestato agli indagati. Difatti, così come correttamente chiarito anche dai giudici di legittimità il delitto di cui all'art. 316 ter c.p., si consuma nel momento in cui il soggetto pubblico eroga l'elargizione richiesta, ma in realtà non spettante, al privato perché è in quell'esatto momento che si verifica la dispersione del denaro pubblico. Il momento consumativo del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche allora dovrebbe ritenersi integrato allorquando il reo-contribuente può visualizzare sulla propria pagina sita nella piattaforma online dell'Agenzia dell'Entrate il credito d'imposta pari all'importo di spesa asseritamente sostenuto per l'esecuzione dei lavori che danno diritto al superbonus. E dunque se il momento consumativo del reato de quo deve essere identificato nel momento dell'indebita percezione che, si ripete nel caso di specie deve qualificarsi come un credito d'imposta suscettibile di cessione, parrebbe più corretto ritenere che il profitto del reato sia il credito d'imposta stesso e non quanto conseguito successivamente per mezzo della cessione. In altre parole, il credito d'imposta dovrebbe intendersi quale prodotto e profitto del reato al tempo stesso da sequestrare a prescindere dalla sua destinazione finale. Gli Ermellini con un salto logico non ben argomentato si esprimono diversamente ed affermano come per la fattispecie di reato in esame, il credito d'imposta deve identificarsi con il prodotto del reato, mentre il guadagno monetario che il privato consegue a seguito della sua cessione (a prescindere dalla sua entità) deve ritenersi il profitto del delitto ed entrambi sono suscettibili di sequestro. Pare evidente, dunque, come la diversa interpretazione di talune categorie giuridiche quali il prodotto ed il profitto del reato può determinare diverse soluzioni in termini di corretta individuazione dell'oggetto della confisca con tutte le implicazioni pratiche ne possono derivare in capo all'indagato. Fonte: Cass. 12 settembre 2023 n. 37138
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Paolo Parisi
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