Ai fini della valutazione della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento, il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare non può considerare ininfluente la sentenza dibattimentale penale di assoluzione conclusiva del procedimento penale divenuta cosa giudicata (e le prove ritualmente raccolte in sede penale).
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 26042 dello scorso 7 settembre confermando la pronuncia di merito che dichiarava l'illegittimità del licenziamento disciplinare con cui veniva contestata la condotta ricompresa in quella di furto ascritta al lavoratore, reato per il quale il dipendente era stato assolto in sede penale in mancanza di prova (processo penale in cui la società si era anche costituita parte civile).
Come noto, quanto alla rilevanza delle sentenze penali nel procedimento disciplinare, opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità. Il giudicato di assoluzione non determina l'automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi, non si può escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare.
Tuttavia, come evidenziato dalla Cassazione nella sentenza in commento, in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile, il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare non può non prendere in considerazione la sentenza dibattimentale penale di assoluzione divenuta cosa giudicata.
Nell'interpretazione in generale della disciplina dei rapporti tra giudizio penale e civile quale risulta dal codice di procedura penale, nella giurisprudenza della Cassazione si sono consolidati i seguenti principi:
il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma secondo, c.p.p.;
nei confronti dell'imputato, la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile nel quale si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, mentre resta impregiudicata la qualificazione giuridica dei fatti medesimi;
il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza;
anche ove la sentenza penale irrevocabile sia priva di efficacia extra-penale, il giudice civile, nella doverosa completa e autonoma rivalutazione del fatto, deve tenere conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale;
la sentenza penale, ancorché non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, ed attribuendo perciò al giudice civile il potere-dovere di accertarli e valutarli in via autonoma, costituisce in ogni caso una fonte di prova che il predetto giudice è tenuto ad esaminare e dalla quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge.
Nel caso di specie, la sentenza penale di assoluzione del lavoratore, valorizzata dal Tribunale del lavoro e non riformata sul punto dalla Corte d'Appello, contiene, a parere della Cassazione, un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza della partecipazione dell'imputato al fatto di reato concorsuale ascrittogli. “Del tutto logicamente – hanno concluso i Supremi giudici - l'assoluzione per non aver commesso il fatto, pronunciata (non in esito a dibattimento, ma comunque) in seguito a giudizio di pieno accertamento dei fatti e delle rispettive responsabilità, anche con la partecipazione quale parte civile del datore di lavoro, fonda l'accertamento del giudice del lavoro in ordine all'insussistenza dell'addebito disciplinare a base del licenziamento ed il conseguente annullamento dello stesso (risulta, dagli atti, operato l'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione)”.
Fonte: Cass. 7 settembre 2023 n. 26042