lunedì 11/09/2023 • 15:30
La Cassazione, con la pronuncia n. 26178 dell’8 settembre 2023, analizza il caso del mancato versamento dei contributi minimi nei confronti di una lavoratrice qualificata come coadiuvante familiare, ricordando che il regime derogatorio è applicabile esclusivamente ai casi menzionati dal legislatore.
redazione Memento
La Cassazione, con la pronuncia n. 26178 dell'8 settembre 2023, esamina il caso di un marito che non versa i contributi, nel periodo 2002-2009, in favore della moglie (coadiuvante familiare) a percentuale sul reddito aziendale a lei attribuibile. I contributi “mancanti” avrebbero consentito alla lavoratrice di accedere alla pensione anticipata. La prima decisione della Corte di merito La Corte di merito, pronunciandosi in maniera sfavorevole per la lavoratrice, ha ritenuto che nei confronti dei coadiutori familiari non fosse applicabile la disciplina (art. 7 DL 463/83 conv. in L. 638/83) che, con riferimento ai lavoratori dipendenti, prevede che il datore di lavoro possa assolvere l'obbligo contributivo parametrandolo al minimale giornaliero (7,50% del trattamento minimo di pensione, poi elevato al 9,50%) facendo salvo il diritto dell'assicurato all'accreditamento di un contributo settimanale se l'imponibile contributivo corrisponde a una retribuzione non inferiore al 30% del trattamento minimo di pensione (c.d. imponibile settimanale). La Cassazione analizza il ricorso della lavoratrice Secondo la suprema Corte, l'art. 7 DL 463/83 conv. in L. 638/83 non ha introdotto alcuna diretta modifica del criterio di determinazione del minimale di retribuzione ai fini contributivi, ma si è limitato ad introdurre, limitatamente ad alcune categorie di lavoratori dipendenti, un “minimo del minimo”. A seguito dell'introduzione di tale disciplina, l'ordinamento previdenziale ha contemplato due diversi limiti minimi di retribuzione ai fini contributivi, ai quali il legislatore ha fatto successivamente riferimento in relazione ai propri fini di politica previdenziale. È importante ricordare che l'art. 1, c. 3, L. 233/1990, individua il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali dovuti alle relative gestioni dei lavoratori autonomi nella misura del minimale annuo di retribuzione che si ottiene moltiplicando per 312 il minimale giornaliero stabilito per gli operai del settore artigianato e commercio. Il carattere derogatorio del particolare limite minimo retributivo rappresentato dalla percentuale dell'importo minimo di pensione per i lavoratori dipendenti impone di circoscriverne l'applicazione ai soli casi espressamente richiamati dal legislatore, non essendo operante in virtù del mero richiamo del limite minimo. Argomentare diversamente equivarrebbe a violare l'art. 14 prel. c.c., che vieta di applicare le norme che fanno eccezione a regole generali oltre i casi stabiliti. La Cassazione, tanto premesso, rigetta il ricorso della lavoratrice. Fonte: Cass. 8 settembre 2023 n. 26178
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