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martedì 12/09/2023 • 06:00

Fisco Dalla Corte di Giustizia

L’IVA indebitamente fatturata può essere rimborsata dall’Erario

L’AF può essere destinataria di una domanda di rimborso IVA indebitamente fatturata a condizione che la somma non possa essere corrisposta dai fornitori, che costoro hanno versato all’erario, qualora sia intervenuta la prescrizione dell’importo e vi sia la possibilità che i fornitori pretendano il rimborso dell’eccedenza da essa riscossa.

di Matteo Dellapina - Avvocato, Cultore in Diritto Tributario presso l’Università di Pavia

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Rimborso dell'IVA indebitamente versata

Ormai è granitico il principio secondo cui la detrazione IVA è un diritto costituente parte integrante del meccanismo dell'IVA stesso e, in linea di principio non può subire compressioni e limitazioni, risultando orientato ad esonerare interamente il soggetto passivo dall'IVA dovuta o assolta nell'ambito delle sue attività economiche (Fatorie, C-424/12).

In tale contesto, la domanda di rimborso dell'IVA indebitamente versata rientra nell'ambito del diritto alla ripetizione dell'indebito che è inteso a rimediare alle conseguenze dell'incompatibilità dell'imposta con il diritto dell'UE, neutralizzando l'onere economico che ha indebitamente gravato l'operatore che, in definitiva, l'ha effettivamente sopportata (Terracult, C-835/18).

Quindi, mancando un'apposita disciplina UE, spetterà ai singoli Stati stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché siano rispettati i principi di equivalenza ed effettività (Reemtsma Cigarettenfabrikfen, C‑35/15; Farkas, C-564/15).

Al contempo, un sistema nel quale, da un lato, il fornitore del bene che ha versato erroneamente al fisco l'IVA potrà richiederne il rimborso e, dall'altro, l'acquirente di tale bene potrà esercitare un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti del fornitore, rispetta i principi di neutralità ed effettività. Tale sistema permette all'acquirente, gravato dall'imposta erroneamente fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate.

Qualora il rimborso dell'IVA risulti impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d'insolvenza del fornitore, l'acquirente del bene sarà legittimato a richiedere il rimborso direttamente all'Amministrazione finanziaria.

Rimborso diretto al fisco: in quali casi?

Attenzione però, qualora sia dimostrato, in base ad elementi oggettivi, che il diritto al rimborso dell'IVA indebitamente fatturata e assolta sia invocato in modo fraudolento o abusivo, si dovrà negare tale beneficio (Terracult, C-835/18). Per contro, risulterebbe sproporzionata una sanzione che neghi, in termini assoluti, il diritto al rimborso dell'IVA indebitamente fatturata e versata qualora non siano accertate frodi o danni per l'erario, e ciò anche se sia provata la negligenza del soggetto passivo (EMS-Bulgaria Transport, C‑284/11).

Quindi una norma o prassi nazionale che neghi all'acquirente di beni il rimborso dell'IVA a monte che gli sia stata indebitamente fatturata e che abbia pagato in eccesso ai suoi fornitori risulterà non solo contraria al principio di neutralità e di effettività ma anche sproporzionata, qualora sia per lui impossibile chiedere detto rimborso ai fornitori a causa della sola prescrizione che essi fanno valere nei suoi confronti e senza che sia necessario che gli venga contestata la frode o un abuso o una comprovata negligenza.

Quindi, se è impossibile o eccessivamente difficile per l'acquirente ottenere, da parte dei fornitori, il rimborso dell'IVA indebitamente fatturata o assolta, potrà, in assenza di frode o abuso o comprovata negligenza da parte sua, richiedere il rimborso direttamente al fisco.

Così, richiamando la celebre e recente vicenda Zipvit (C-156/20), i giudici unionali avevano sottolineato come l'esistenza di una pratica abusiva possa essere riconosciuta qualora si verifichino due condizioni:

  • le operazioni, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalla Dir. UE 112/2006, devono avere come scopo quello di ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione risulterebbe contraria all'obiettivo perseguito da dette norme;
  • da un insieme di elementi oggettivi dovrà risultare che lo scopo essenziale delle operazioni si limiti all'ottenimento di tale vantaggio fiscale (Halifax e a., C‑255/02;, HA.EN., C‑227/21).

La vicenda

Un agricoltore, operante anche nel settore della silvicoltura, acquistava del legname da diversi fornitori, rivendendolo e consegnandolo ai propri clienti, come legna da ardere. Sebbene l'aliquota IVA che compariva sulle fatture dei suoi fornitori fosse quella ordinaria al 19%, quella che compariva sulle fatture inviate che inviava ai clienti era quella ridotta del 7%. Di conseguenza accadeva che:

  • i fornitori effettuavano ogni volta una dichiarazione IVA, corrispondendo all'erario tedesco l'imposta al 19%;
  • l'agricoltore invece dichiarava le vendite effettuate all'aliquota del 7%, detraendo quella sugli acquisti al 19%.

Il debito d'imposta che ne risultava veniva versato dal ricorrente all'amministrazione finanziaria.

A seguito di una verifica fiscale, il l'Ufficio delle imposte riteneva che le operazioni a valle dell'agricoltore dovessero assoggettarsi all'aliquota IVA ordinaria e non a quella ridotta. Di conseguenza veniva avviato un procedimento giudiziario, conclusosi con sentenza passata in giudicato, da cui ne derivò che sia le operazioni a valle del contribuente che gli acquisti fossero da assoggettarsi ad aliquota IVA ridotta, con conseguente riduzione della detrazione dell'IVA a monte. Cosicché per l'esecuzione della sentenza, il fisco richiedeva sia gli importi dell'IVA dovuta che gli interessi maturati. Il contribuente si rivolse così ai propri fornitori affinché rettificassero le fatture che lo riguardavano e gli versassero la differenza. Ma costoro opposero l'eccezione di prescrizione e pertanto le fatture non vennero rettificate e l'agricoltore non ottenne così i rimborsi richiesti. Quest'ultimo si rivolgeva all'Amministrazione finanziaria affinché lo esentasse, in via equitativa, dall'IVA reclamata a posteriori e dagli interessi. In seguito al rigetto della domanda, il contribuente adiva il giudice del rinvio tedesco che si interrogava sulla possibilità per i fornitori di rettificare le fatture senza limiti di tempo e di farlo quindi successivamente al rimborso dell'acquirente da parte del fisco. Se tali fornitori chiedessero successivamente all'amministrazione il rimborso di quanto pagato in eccesso, ciò esporrebbe detta amministrazione al rischio di dover rimborsare la stessa IVA due volte senza potersi necessariamente rivalere sull'acquirente dei beni oggetto di dette fatture. Quindi veniva sospeso il procedimento principale, con rinvio alla CGUE, chiamata ad interpretare la Direttiva IVA.

I giudici unionali, riprendendo quanto accertato dal giudice del rinvio, hanno osservato che da un lato l'acquirente abbia pagato ai fornitori gli importi IVA indicati in fattura e dall'altro che detti fornitori abbiano versato tali importi al fisco. Pertanto, se detti fornitori regolarizzassero le fatture e presentassero domande di rimborso di quanto pagato in eccesso dopo che il fisco avesse rimborsato l'eccedenza all'acquirente dei beni fatturati, tali domande non potrebbero aver altro obiettivo se non quello di ottenere un vantaggio fiscale contrario al principio di neutralità. Una siffatta pratica risulterebbe abusiva e non potrebbe dar luogo ad un rimborso dei suddetti fornitori, il che esclude il doppio rimborso.

Cosicché, l'esecuzione della sentenza che ha ridotto la detrazione dell'IVA pagata a monte potrebbe comportare un onere economico per il ricorrente, corrispondente alla differenza tra l'aliquota normale dell'IVA e quella ridotta. Quindi, se il contribuente avesse effettivamente già pagato al fisco l'importo corrispondente alla riduzione della sua detrazione iniziale, sopporterebbe un danno finanziario in quanto non potrebbe disporre di tale importo.

In mancanza di un rimborso dell'IVA indebitamente riscossa dal fisco entro un termine ragionevole, tale danno, risultante da una violazione, dovrebbe essere compensato dal pagamento di interessi di mora.

In conclusione la CGUE ha ritenuto che: «la direttiva IVA nonché il principio di neutralità dell'IVA e il principio di effettività devono essere interpretati nel senso che essi esigono che il beneficiario di cessioni di beni disponga direttamente nei confronti dell'amministrazione finanziaria di un diritto al rimborso dell'IVA indebitamente fatturata che egli ha pagato ai suoi fornitori e che questi ultimi hanno versato all'erario, nonché dei relativi interessi, in circostanze in cui, da un lato, senza che possano essergli addebitati una frode, un abuso o una negligenza, egli non può più pretendere tale rimborso da detti fornitori a causa della prescrizione prevista dal diritto nazionale e in cui, dall'altro, vi è una possibilità formale che, successivamente, detti fornitori pretendano dall'amministrazione finanziaria il rimborso dell'eccedenza da essa riscossa, dopo aver rettificato le fatture inizialmente emesse al beneficiario di tali cessioni. In mancanza di rimborso, entro un termine ragionevole, dell'IVA indebitamente riscossa dall'amministrazione finanziaria, il danno subito a causa dell'indisponibilità dell'importo equivalente a tale IVA indebitamente riscossa deve essere compensato mediante il pagamento di interessi di mora».

Fonte: CGUE 7 settembre 2023 (C-453/22)

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