mercoledì 20/09/2023 • 06:00
La nozione di rissa prevista dai contratti collettivi non corrisponde a quella penale che richiede la partecipazione di almeno tre persone. Sul lavoro basta una contesa tra due individui capace a determinare una situazione di pericolo per loro stessi e gli altri.
redazione Memento
La nozione “civilistica” di rissa, prevista da numerosi contratti collettivi, individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell'azione e la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell'ambito della comunità aziendale. Si tratta di una nozione più lata di quella "penalistica", nella quale primeggia la tutela dell'incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone. A tratteggiare la definizione di rissa sul luogo di lavoro è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26043 del 7 settembre 2023. I fatti di causa riguardano l'impugnazione di un licenziamento disciplinare con preavviso intimato al lavoratore da una Società Cooperativa di produzione e lavoro a seguito di contestazione disciplinare collegata a un episodio di rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio relativo alle postazioni e agli orari di lavoro e contestuale aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce. La società in prima battuta aveva contestato al lavoratore la fattispecie della grave insubordinazione prevista dal CCNL e comportante il licenziamento senza preavviso, e poi, in sede di irrogazione del licenziamento, la fattispecie della rissa sul luogo di lavoro, sempre prevista dall'art. 48 del CCNL applicato al rapporto, comportante il licenziamento con preavviso. La modifica, secondo la Cassazione, e contrariamente a quanto lamentato dal lavoratore nel ricorso, non viola il principio di immutabilità della contestazione disciplinare in quanto, spiegano i Supremi giudici, “il fatto materiale (rifiuto di sottoscrivere un ordine di servizio e aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce) è rimasto il medesimo”. Né per la Cassazione possono essere accolte le censure del lavoratore relative all'affermata erronea sussunzione dei fatti contestati nella nozione di rissa: per la Suprema Corte, in ogni caso, emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata che il licenziamento intimato è stato ritenuto legittimo per la gravità della condotta, essendosi trattato di uso di parole offensive e minacciose e di rifiuto degli ordini lavorativi dei responsabili, ossia di gesto violento con minaccia di aggressione che ha ingenerato un clima di paura e ha turbato l'attività lavorativa e l'intero ambiente circostante (con intervento delle Forze dell'ordine). Fonte: Cass. 7 settembre 2023 n. 26043
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Marco Sartori
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