“In tema di detrazione dell'IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall'Amministrazione anche mediante presunzioni, come espressamente prevede l'art. 54, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l'assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l'immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell'operazione”.
Lo ha ricordato recentemente la Cassazione con la sentenza 25891/2023.
Con riferimento al requisito alla conoscenza o conoscibilità in capo al soggetto passivo dell'esistenza di una frode all'IVA, una sentenza di ampio respiro sistematico, la Cassazione ha ricordato che “[...] se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell'operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell'imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l'aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo.
In tale ottica prospettica, costituiscono elementi di rilevanza sintomatica dell'operazione soggettivamente fittizia: l'acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell'eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l'effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati ‘cash'; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la urata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera.
FONTE: Cass. 5 settembre 2023 n. 25891