giovedì 07/09/2023 • 06:30
Per verificare l'eventuale ricorrenza di un ricorso abusivo alla somministrazione occorre verificare se le reiterate missioni presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell'attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come temporaneo. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza n. 23455 del 1° agosto 2023.
Una lavoratrice agiva in giudizio al fine di ottenere la conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all'utilizzatore o, in via subordinata, in capo all'agenzia interinale per violazione dell'art. 47 del CCNL agenzie di somministrazione di lavoro (il “CCNL”), oltre il pagamento di una indennità di risarcitoria. Ciò a seguito di 4 contratti a termini in somministrazione, con le medesime mansioni e senza soluzione di continuità, per 36 mesi. Il suo ricorso veniva accolto in primo grado ma rigettato in appello. Nello specifico, la Corte distrettuale osservava che tre erano state le missioni così come tre erano stati i contratti di somministrazione stipulati tra la società di somministrazione e la società utilizzatrice, anche se non vi erano state interruzioni tra una missione e l'altra, per un arco temporale di oltre 4 anni. E ciò non è vietato dalla legge o dalla contrattazione collettiva. La Corte territoriale concludeva, quindi, che non poteva essere dichiarata alcuna conversione del rapporto né in capo all'utilizzatrice né in capo alla società di somministrazione. La lavoratrice decideva così di ricorrere in cassazione, eccependo la violazione degli artt. 20,21 e 27 del D.Lgs. 276/2003, nel testo vigente all'epoca dello svolgimento del primo e del secondo contratto di somministrazione, per aver la Corte d'appello ritenuto che “la discrasia tra il contratto commerciale di fornitura e quello di lavoro quanto alle mansioni e all'inquadramento (…) fosse irrilevante in quanto frutto di un mero errore materiale”; che l'onere della prova circa la sussistenza delle ragioni legittimanti il ricorso alla somministrazione fosse a suo carico anziché a carico del datore di lavoro; di sottoporre alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale “se l'art. 5.5 della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/104/CE debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione del D.Lgs. 276/2003, come modificato dal D.L. 34/2014, che: a) non prevede limiti alle missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all'indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non prevede il requisito della temporaneità dell'esigenza produttiva propria dell'impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro” e la violazione dell'art. 47 del CCNL con riferimento alla nozione di nuovo contratto e proroga. La decisione della Corte di Cassazione La Corte di Cassazione, investita della causa, ha dichiarato infondato il primo motivo. Nel formulare la sua decisione ha osservato che la Corte distrettuale aveva accertato che il primo contratto di somministrazione a termine era stato sottoscritto in data 11 giugno 2012 per lo svolgimento delle mansioni di “Sales and Service Agent” di cui al III livello del CCNL Marittimi addetti agli uffici presso l'utilizzatrice, il quale era stato prorogato per 3 volte, fino al 4 maggio 2013 e poi fino al 30 giugno e, infine, fino al 31 luglio 2013. Tuttavia, ad avviso della Corte di Cassazione, a partire da settembre 2012 la lavoratrice era stata inquadrata e retribuita al IV livello del CCNL, con le mansioni di “credit account” come per gli altri successivi contratti di lavoro. A detto contratto corrispondeva il primo contratto di somministrazione dal 14 giugno 2012 al 30 giugno 2013, prorogato sino al successivo 31 luglio. Inoltre, secondo la Corte di Cassazione, le incongruenze relative al livello ed al periodo di lavoro tra i due primi contratti, evidenziate dalla lavoratrice, non portano alla nullità del contratto di somministrazione per mancanza della forma scritta. Con riferimento, infatti, al diverso inquadramento si è trattato di un mero errore materiale della datrice di lavoro che inizialmente ha assunto la lavoratrice nel III livello anziché nel IV. Tant'è che la datrice di lavoro, appena resasi conto, ha provveduto a correggere le buste paga e retribuire la lavoratrice con il trattamento previsto dal IV livello. Anche la questione relativa alla non idoneità dei periodi indicati nei due contratti assume rilevanza ai fini dell'asserita nullità del contratto di somministrazione, essendo stato il primo contratto poi prorogato sino alla data finale indicata nel contratto di somministrazione (31 luglio 2013). Pertanto, il primo contratto di somministrazione prodotto in atti si ricollega perfettamente al primo contratto stipulato con la lavoratrice. Passando poi alla questione pregiudiziale da sottoporre alla Corte di Giustizia dell'UE, in ordine all'interpretazione dell'art. 5.5 della Direttiva n. 2008/104/CE, la Corte di Cassazione ha sottolineato che medesima si era nel frattempo si è già espressa. Infatti, la stessa Corte di legittimità, nelle pronunce 22861/2022, 23531/2022 e 23494/2022, ha tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 ottobre 2020, JH c. KG, C-681/2018 nonché della successiva sentenza della stessa Corte di Giustizia del 17 marzo 2022, Dai Inler AG, Mercedes-Ben Werk Berlin, C-232/2020. Nello specifico, la Corte di Cassazione ha sottolineato che la Corte di Giustizia nella sentenza del 14 ottobre 2020 ha indicato alcuni indici rilevatori dell'eventuale ricorrenza di un ricorso abusivo al lavoro tramite agenzie interinale, volto ad eludere le finalità della Direttiva di circoscriverne la portata in termini di temporaneità. In particolare, la Corte ha ritenuto rilevante, nell'ambito degli indici rilevatori da considerare, verificare “se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell'attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”. Aspetto questo su cui la Corte d'appello non si è affatto pronunciata, così come sugli altri eventuali indici espressivi di eventuale abuso nel ricorso reiterato alla somministrazione a termine, limitandosi, peraltro in modo implicito, ad escludere un ricorso abusivo dell'istituto della somministrazione da parte dell'utilizzatore. I giudici di merito hanno sì accertato che le missioni corrispondenti ai tre contratti di somministrazione a termine - sempre per la medesima lavoratrice e per le medesime mansioni, inquadrate parimenti nel medesimo livello contrattuale - si sono succedute presso l'utilizzatrice senza soluzione di continuità per un tempo complessivo di oltre 4 anni, in ogni caso superiore al tempo complessivo di 36 mesi che costituiva il limite per i contratti a termine c.d. “diretti”. Tuttavia, essi non hanno verificato se “la reiterazione delle missioni avesse oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione di norme imperative ai sensi dell'art. 1344 c.c. e, specificatamente, degli obblighi e delle finalità imposte dalla Direttiva n. 2008/104 (..), da cui discende, secondo l'ordinamento interno, la nullità dei contratti”. In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha rigetta il primo motivo, accolto il terzo e dichiarato assorbiti il secondo ed il quarto. Ha cassato la sentenza in relazione al motivo accolto, rinviando alla Corte d'Appello di Genova in diversa composizione. Fonte: Cass. 1° agosto 2023 n. 23455
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