martedì 12/09/2023 • 06:00
Nella prospettiva della razionalizzazione e semplificazione del rapporto giuridico di imposta, merita attenzione il tema della decorrenza dei termini di accertamento delle quote costanti di reddito derivanti da elementi del patrimonio di rilevanza pluriennale.
La legge-delega per la riforma fiscale, legge 111/2023, si propone, tra l'altro, di “razionalizzare e semplificare il sistema tributario” anche mediante semplificazione del sistema accertativo (art. 17, comma 1, lett. a legge 111/2023). In questo contesto, un possibile tema di riflessione è costituito dalle modalità di accertamento degli elementi di reddito a carattere pluriennale. Giova considerare, a tal riguardo, che il sistema delle II.DD. è caratterizzato dal principio della “autonomia” dei singoli periodi di imposta (art. 7 e 76 tuir). Pertanto, il reddito dovrà essere determinato ed accertato attraverso l'analisi dei singoli componenti positivi e negativi risultanti dal conto economico relativo a ciascun periodo, non assumendo rilievo la contabilizzazione degli stessi componenti nei periodi precedenti o successivi. Questo principio non soffre deroga nelle numerose ipotesi in cui si configurano componenti di reddito derivanti dal frazionamento in quote costanti di elementi del patrimonio aventi rilevanza fiscale pluriennale. A titolo esemplificativo si pensi, dal punto di vista attivo, alle plusvalenze attive ex art. 86, co. 4, tuir, o ai contributi in conto capitale e, dal punto di vista passivo, agli ammortamenti, alle spese previste dall'art. 108 tuir. o alle svalutazioni di crediti ex art. 106, co. 3, tuir. In queste situazioni, si verifica la scissione tra il momento in cui la fattispecie reddituale viene ad esistenza (che è quello in cui l'operazione viene realizzata e registrata nello stato patrimoniale) ed i momenti in cui assume rilevanza fiscale e concorre a formare il reddito di esercizio per quote di uguale importo, contabilizzate nel conto economico nell'arco temporale preso a riferimento. Poteri accertativi Con riguardo a tale fenomeno e con riferimento all'esercizio dei poteri accertativi, le Sezioni Unite della S. Corte hanno affermato che: “In caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale non per l'errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell'amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio” (Cass., SS.UU., n. 8500/21; nello stesso senso, Cass., 7438/23; 24880/22; 28563/21; 18372/21; 18370/21). Si tratta di principio di indubbia esattezza, che – in mancanza di diverse previsioni normative – salvaguarda la potestà accertativa inerente a ciascun rapporto giuridico di imposta che si instaura, anno per anno, tra contribuente e fisco; ma la correttezza della soluzione ermeneutica non implica che il sistema vigente sia immune da criticità. Al contrario, esso rivela vistose antinomie, in considerazione del divario temporale, anche assai rilevante, che si può registrare tra il fatto genetico della situazione reddituale e quello della sua rilevazione, come nel caso di ammortamento di un costo di durata ultradecennale. In tali circostanze, si configurano vari profili di irragionevolezza, con lesione del principio di buon andamento e pregiudizio degli interessi di entrambe le parti: il contribuente è esposto a gravosi oneri di conservazione della documentazione giustificativa, spesso oltre il termine decennale ordinariamente previsto in un regime di contabilità regolarmente tenuta; l'Amministrazione finanziaria, dal canto suo, potrà rettificare le quote relative ai periodi per i quali non si sia verificata decadenza, ma dovrà certificare la definitività delle violazioni intercorse nei periodi precedenti. In ogni caso, il sistema giurisdizionale dovrà occuparsi di vicende risalenti ad alcuni decenni prima, in contrasto con regole di tempestività e di efficienza. La giurisprudenza e la prassi offrono alcuni rimedi per limitare gli effetti di queste anomalie: per un verso si ammette la “facoltà” dall'Amministrazione di adottare atti di accertamento che, senza operare alcun recupero di imposta, si rivolgano nei confronti di atti che possono generare future situazioni reddituali (cfr. Cass., 15178/10 e 12880/2008, richiamate dalla citata sentenza delle SS.UU.); per un altro verso, si attribuisce efficacia espansiva al giudicato che intervenga su “fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie, che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata” (Cass., 7162/2021; 5939/2021; 31084/2019; 6843/2019; 32665/2018). In base a questi principi, l'accertamento o il giudicato che dovessero interessare l'elemento patrimoniale da cui si generano le quote di reddito annuali che confluiscono nel conto economico, consentono di configurare un presupposto unitario da cui derivare la definizione uniforme dei diversi rapporti giuridici di imposta nei quali esso si fraziona, evitando possibili disparità e contraddizioni tra un periodo e l'altro; ma si tratta pur sempre di rimedi eventuali e parziali, che non eliminano, in via di principio, le antinomie segnalate innanzi. In una prospettiva di riforma, si possono ipotizzare opportuni interventi che, senza incidere sui principi inerenti all'autonomia dei singoli periodi di imposta, introducano un diverso modulo procedurale per assicurare maggiore efficienza dell'azione amministrativa, uniformità di trattamento e migliore certezza dei rapporti giuridici. La soluzione può essere quella di riferire l'attività di accertamento non ai ratei che annualmente confluiscono nel conto economico, ma all'elemento contabile a carattere pluriennale da cui essi derivano, anticipando la verifica fiscale al momento in cui esso emerge in bilancio attraverso l'iscrizione nello stato patrimoniale. Tale soluzione non è priva di analogie. La presentazione di una dichiarazione unica ad efficacia pluriennale costituisce il sistema ordinario per tributi locali che, come la TARI, si strutturano come prestazioni periodiche con connotati di autonomia nell'ambito di un rapporto tributario tendenzialmente stabile nel tempo: la circostanza che in tal caso non si configura una pluralità di rapporti giuridici, ma una pluralità di versamenti autonomi nell'ambito di un rapporto giuridico sostanzialmente unitario, non impedisce di riconoscere, sul piano operativo, che i fatti fiscalmente rilevanti che si ripetono anno per anno con uguali modalità (sia che definiscano i presupposti del tributo, sia che riguardino soltanto alcuni componenti dell'imponibile) possono essere bene esposti in un'unica dichiarazione riguardante l'intero arco temporale tendenzialmente interessato, piuttosto che mediante plurime dichiarazioni da presentare per ciascun periodo. Inoltre, la possibilità di accertare elementi dello stato patrimoniale, propedeutici alla formazione di componenti del reddito degli esercizi successivi per quote di uguale ammontare, è stata già riconosciuta (sia pure come “facoltà”, anziché come “obbligo” dell'Amministrazione) dalla citata sentenza delle SS.UU., mediante richiamo alle precedenti decisioni nn. 15178/10 e 12880/2008; e neppure si può trascurare che, nel passato, la giurisprudenza ha ammesso la potestà di accertare componenti di reddito mediante il diretto riscontro di elementi dello stato patrimoniale (cfr., per tutte, Cass., SS.UU., n. 5290/97 e Cass. 3741/15, riferite alle plusvalenze non realizzate, ma iscritte in bilancio, ai sensi dell'art. 8, dpr 598/73 e dell'art. 54, co. 1., dpr 917/1986, ante riforma 2004). De jure condendo, si possono prospettare due possibili soluzioni. In una prima prospettiva, si potrebbe istituzionalizzare e generalizzare l'obbligo del contribuente di evidenziare in apposita sezione della propria dichiarazione tutti gli elementi dello stato patrimoniale con rilievo pluriennale (perché idonei a generare, per quote costanti, componenti positivi o negativi di reddito nei successivi periodi, che siano emersi nel periodo di riferimento; in tale contesto, sarà onere dell'Amministrazione accertare la legittimità dei dati esposti entro un termine decadenziale, con preclusione di successive verifiche delle singole quote di reddito riportate nel conto economico dei periodi successivi. In altra e subordinata ipotesi (che risolverebbe però solo in parte le criticità rilevate), si potrebbe consentire l'attivazione di una procedura di compliance, su iniziativa del contribuente, per definire preventivamente ed in contraddittorio gli elementi della fattispecie. Al legislatore delegato l'onere di tentare la quadratura del cerchio.
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