sabato 26/08/2023 • 06:00
La Cassazione, con la sentenza n. 25108 del 23 agosto 2023, ha “consolidato” il principio secondo cui in forza dell'art. 2495 c.c., i soci di società di capitali rispondono dei debiti sociali, compresi quelli tributari, se hanno riscosso importi da bilancio finale di liquidazione.
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Il principio consolidato dalla Corte di Cassazione
La sentenza in commento è interessante, innanzitutto, dal punto di vista tributario, per l'assunto di partenza.
Ovverosia, la sussistenza del principio di una praesumptio de praesumpto, cioè l'intervenuta distribuzione degli utili ai soci secondo un'applicazione totalizzante dell'imputazione per trasparenza conseguente alla ristrettezza della base sociale, imputazione ritenuta valida anche nei confronti del socio di minoranza; e per di più con una evidente inversione dell'onere della prova, non spettando di fatto al socio la dimostrazione di non avere percepito utili.
Gli ermellini evidenziano che costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (vengono citate Cass. SS.UU. n. 6070 e 6071 del 12.3.2013; conf., ex multis, Cass. n. 16362 del 30.7.2020).
A ben vedere, ribadisce la Cassazione, se è vero che i soci di una società di capitali a base ristretta estinta rispondono dei debiti societari pro quota, in relazione ai relativi titoli di partecipazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, è altrettanto vero che l'Agenzia ha interesse a procurarsi un titolo nei confronti dei soci della società estinta, a prescindere dall'utile di partecipazione di essi alla ripartizione finale, potendo comunque residuare beni e diritti (quali, ad es., utili extracontabili) che, ancorché non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione, si siano trasferiti ai soci.
Al riguardo, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sostenuto in più sentenze la tesi che individua sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all'esito della liquidazione, fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s'è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire e non sulla legittimazione passiva del socio medesimo, con l'ulteriore specificazione che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie.
Peraltro la stessa Cassazione ha, poi, ribadito, di recente, sia pure nell'ambito di un processo riguardante il regolamento di giurisdizione, la legittimità della pretesa azionata dall'Ufficio fiscale nei confronti dell'ex socio della società cancellata, specificando che la Corte si è andata ormai consolidando nell'affermare che se i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del Fisco creditore e che l'assenza nel bilancio di liquidazione della società estinta di ripartizioni agli ex soci non esclude l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (Cass., SS.UU., 15.1.2021, n. 619).
Conclusioni
Le problematiche inerenti l'effettiva percezione degli utili da parte dei soci della società estinta non sono idonee a paralizzare il superiore interesse, sicché le stesse possono essere fatte valere dal socio solo in sede di riscossione.
Ancor più nello specifico, il fatto che non ci sia stata distribuzione degli utili da parte della società non esclude l'interesse dell'Agenzia ad accertare la responsabilità del socio, essendo risultati, all'esito dell'accertamento nei confronti della società, utili comunque distribuibili, con conseguente infondatezza del primo motivo.
In ogni caso, precisa la Cassazione, resta salva ogni questione sull'effettivo percepimento di detti utili, che potrà essere posta solo in sede di riscossione, con conseguente mancanza di interesse del socio a far valere, nella sede attuale di controversia, le questioni di ripartizione dell'onere probatorio avanzate con il ricorso proposto.
Fonte: Cass. 23 agosto 2023 n. 25108
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Monica Manzini
- Dottore commercialista. Revisore legaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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