venerdì 25/08/2023 • 06:00
Spetta all’Ufficio dimostrare l’effettiva conoscenza o conoscibilità della frode da parte del contribuente, anche per presunzioni le quali devono essere in ogni caso gravi, precise, concordanti e specificamente riferite ai fatti dedotti in giudizio.
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Il caso
Una srl italiana impugnava un avviso di accertamento relativo all'anno 2016 con il quale veniva ripresa a tassazione dall'Agenzia delle Entrate l'Iva per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti poste in essere con una società inglese. Relativamente a quest'ultima, l'Ufficio aveva evidenziato nell'atto impositivo opposto alcuni elementi:
a) le informazioni presenti nella banca dati VIES indicavano che il codice IVA risultava attivo ai fini intracomunitari dal 1° gennaio 2006 con l'effettuazione di operazioni economiche verso clienti italiani fino al quarto trimestre 2017;
b) fino al 31 dicembre 2016, il suo capitale sociale, pari a 1 sterlina britannica, risultava interamente detenuto da una persona fisica che rivestiva anche la carica di director della società;
c) i bilanci d'esercizio mostravano ricavi per valori prossimi ai 20 milioni di euro, con una totale assenza di immobilizzazioni materiali o immateriali a utilità pluriennale;
d) disponeva di un sito internet aziendale dai contenuti estremamente ridotti, in cui si dava contezza dell'offerta di supporto e assistenza per tutti i servizi e le esigenze di negoziazione che vanno dalle attrezzature agricole e macchinari alle parti automobilistiche.
L'Amministrazione Finanziaria, in separata sede, aveva rilevato come la società inglese, insieme ad altri fornitori comunitari, avesse intrattenuto rapporti di natura commerciale con soggetti che evidenziavano la deduzione di costi di esercizio non documentati, ovvero afferenti ad operazioni in tutto o in parte inesistenti. Tali costi venivano fatturati dai fornitori comunitari ed attraverso tali operazioni economiche, le imprese italiane ottenevano la retrocessione dei corrispettivi prevalentemente mediante accredito su conti aperti in Svizzera, al netto delle commissioni trattenute dai soggetti che emettevano le fatture. Già nel corso del contraddittorio pre-processuale con l'Ufficio era emerso che i beni acquistati dalla società londinese erano stati effettivamente ricevuti dalla srl italiana (ricorrente), in quanto oggetto di rivendita ad altra società, e pertanto oggettivamente esistenti ai fini Ires ed Irap. Tuttavia, non avendo riscontrato alcuna prova contraria rispetto agli indizi di frode relativamente al fornitore inglese, l'Ufficio confermava l'indeducibilità dell'Iva ritenendo le operazioni commerciali intercorse tra le due società inesistenti soggettivamente.
I motivi di ricorso
Con il ricorso, la società italiana si lamentava del fatto che l'Ufficio non avesse minimamente assolto al proprio onere probatorio, posto che incombeva su di essa l'onere di provare la consapevolezza e la malafede del contribuente (e non il contrario), apparendo contraddittorio affermare che una stessa operazione, riconosciuta come valida (in quanto realmente effettuata) ai fini delle “dirette” fosse, invece, stata ritenuta inesistente (ergo fraudolenta) ai fini Iva.
La novella
I giudici milanesi, nel dirimere la controversia a favore della parte privata, premettono la rilevanza dell'introduzione, con la legge n. 130/2022, del comma 5-bis all' art. 7 del d.lgs. 546/92, il quale espressamente dispone che: “L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
L'applicazione al caso concreto
Nel caso di specie, la Corte Tributaria ha ritenuto che l'Ufficio avesse basato il proprio convincimento unicamente su una presunzione semplice, derivante da talune informazioni di carattere generale ed aspecifico che, peraltro, riguardavano, da un lato, la sola società inglese e, dall'altro, i rapporti fra quest'ultima ed altre società estranee al giudizio. Non risultava, in sostanza, alcuna prova o presunzione, tantomeno grave, precisa e concordante, che coinvolgesse direttamente il rapporto tra la società inglese e la ricorrente.
La prova della consapevolezza
I giudici ambrosiani hanno osservato come l'Ufficio avesse effettuato un richiamo “generico” ad alcune operazioni economiche poste in essere dalla società inglese con soggetti diversi dalla ricorrente, oggetto di separati ed autonomi accertamenti tributari. Da ciò si deduceva, al contrario, come la società fornitrice avesse posto generalmente in essere valide operazioni economiche e solo per alcune, non meglio specificate, ne veniva esclusa la veridicità. Inoltre, dopo avere affermato l'oggettiva esistenza delle operazioni contestate ai fini Ires ed Irap (circostanza pacifica oggetto di altri giudizi), con riferimento a quegli stessi rapporti l'Ufficio ne aveva fatto discendere la ripresa fiscale nei confronti della ricorrente dalla circostanza che quest'ultima non avesse riscontrato alcuna prova contraria rispetto agli indizi di frode relativamente al fornitore e che il diritto alla detrazione sia subordinato “alla mancata consapevolezza da parte del soggetto della frode posta in essere dalla controparte che è onere del contribuente dimostrare”. In ossequio al novellato principio dell'onere della prova e secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità in tema di operazioni soggettivamente inesistenti (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conf. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018; Cass. Civ., n. 16092/2022), i giudici milanesi hanno ritenuto che nulla fosse stato dimostrato dall'Agenzia circa l'effettiva conoscenza o conoscibilità della lamentata frode da parte del contribuente, nemmeno per presunzioni, le quali devono essere in ogni caso gravi, precise, concordanti e specificamente riferite ai fatti dedotti in giudizio. «Secondo un basilare principio di buona fede e collaborazione, ha concluso la Corte, la prova liberatoria a carico del contribuente scatta solo nel momento in cui l'Agenzia abbia esaustivamente provato il fondamento della pretesa fiscale e deve comunque essere valutata alla stregua di un canone di ordinaria diligenza, senza imposizione di oneri irragionevoli a carico dei contribuenti, ancorché imprenditori».
Fonte: CGT I Milano 22 agosto 2023 n. 2955
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Domenico Frustagli
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