L'art. 5, comma 1, lett. f), punto 1) della legge delega fiscale prevede, “con particolare riguardo alle modalità di versamento dell'IRPEF dovuta dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali e dai contribuenti a cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale, fermo restando il vigente sistema di calcolo, anche previsionale, del saldo e degli acconti, e realizzando, senza peggioramenti per il contribuente rispetto al sistema vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo, anche mediante la progressiva introduzione della periodicità mensile dei versamenti degli acconti e dei saldi”. La periodicità mensile dei versamenti dovrebbe essere assistita dalla “eventuale riduzione della ritenuta d'acconto”.
È stato così introdotto un principio di delega che, nelle intenzioni del delegante, inserendosi nel perimetro del vigente sistema di calcolo delle imposte a titolo di saldo e acconto (incluso il metodo previsionale), dovrebbe migliorare la distribuzione dell'onere fiscale, evitando che per i soggetti individuati dalla norma il carico legato all'IRPEF ricada tutto nei mesi di giugno (semplificando rispetto ai versamenti con maggiorazione, rateizzazione e proroghe varie) e novembre. Un po' come già avviene oggi per l'IVA, pur con le dovute differenze.
Al netto della possibilità di effettuare in itinere aggiustamenti in termini previsionali più calibrati grazie al maggior frazionamento nel tempo dei versamenti in acconto (incluso il secondo in scadenza a novembre), ciò che colpisce sono alcune espressioni utilizzate nella richiamata norma, quali:
senza peggioramenti per il contribuente rispetto al sistema vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
migliore distribuzione del carico fiscale nel tempo;
eventuale riduzione della ritenuta d'acconto.
Le contraddizioni
Lascia quanto meno perplessi la circostanza che la misura, secondo il sintetico schema tracciato dalla legge delega, sia considerata migliorativa per i contribuenti, mentre non sorprende affatto che la stessa sia considerata senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Due aspetti intimamente legati tra loro, ma avvinti da quella che, a una prima riflessione, appare una palese contraddizione.
Innanzi tutto, questo sistema di pagamento dilazionato durante tutto l'arco dell'anno richiama alla mente, con le opportune variazioni genetiche (sostanziali e formali), una “vecchia” idea del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che i meno smemorati ricorderanno essersi fatto interprete della cosiddetta cash flow tax, una proposta innovativa che spopolava sulle spiagge nell'estate del 2020, gradita ai partiti della maggioranza dell'epoca, ma poi abbandonata senza particolari rimpianti e rancori lungo l'autostrada deserta del successivo autunno.
La proposta aveva ad oggetto un vero e proprio cambio di paradigma nel sistema fiscale italiano, rispetto al quale l'approdo finale a un modello di pagamento delle imposte più snello e veloce, con cadenza mensile o trimestrale in modo diretto e automatico tramite il sistema del Rid (rapporto interbancario diretto), avrebbe dovuto rappresentare solo la punta dell'iceberg, posto che richiedeva preliminarmente una significativa iniezione di semplificazioni nel sistema tributario domestico. In particolare, lo strumento avrebbe dovuto contemplare il passaggio al principio di cassa (per tutti) e, al contempo, la capacità del Fisco di precompilare le dichiarazioni annuali IRPEF delle partite IVA, con buona pace però del caleidoscopico sistema di deducibilità ad assetto variabile di alcuni (rectius molti) costi sostenuti dai contribuenti interessati, giusto per richiamare la principale complicazione di calcolo esistente.
Tuttavia, proprio l'incapacità o la mancanza di volontà nell'attuare la necessaria e prodromica semplificazione hanno fatto annegare quella proposta, che però deve essere rimasta cara, quanto meno nella parte conclusiva dello schema riformatore, tanto a Ruffini quanto al MEF.
Ad ogni modo, è inutile negare che il comune denominatore del vantaggio della periodicità mensile dei versamenti (tanto della cash flow tax quanto della norma delegata) è rappresentato dalla possibilità per lo Stato di percepire flussi di cassa più regolari, vale a dire la tanto agognata stabilizzazione delle entrate erariali, ed è altrettanto pacifico che non solo non vi sarebbero nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma, anzi, probabilmente un netto miglioramento per quest'ultima. Invece, in termini puramente finanziari (tutto da capire poi come verrebbe disciplinato il primo anno di applicazione, forse con una misura compensativa per le mensilità da gennaio a maggio), è difficile poter sostenere che vi sia un vantaggio per il contribuente, che si troverebbe a dover cominciare a pagare acconti dal mese di gennaio, mentre nel sistema attuale li versa solo a partire da giugno. Osservazione, quest'ultima, già fatta propria dalla migliore dottrina in relazione all'impianto della cash flow tax.
Peraltro, nelle intenzioni del legislatore delegante, il versamento mensile (ma cambierebbe poco anche in caso di una più ampia periodicità) dovrebbe essere ancillare all'eventuale riduzione della ritenuta d'acconto, ove applicabile. Fa sorridere però il ricorso al concetto di eventualità, che sembra in realtà posto più a presidio delle ragioni dell'Erario che al servizio degli interessi dei contribuenti.
Insomma, è tutta da valutare l'ipotesi in base alla quale la benevola preoccupazione di diluire i pagamenti dei contribuenti, oltre a essere un (più che) probabile vantaggio per il Fisco (quanto meno in termini di stabilizzazione delle entrate), possa, al contempo, rappresentare anche un effettivo beneficio per gli stessi.
Contribuenti e professionisti rimarranno in attesa alla finestra, nella speranza che la stessa si trasformi davvero in un quadro della annunciata primavera tributaria e, ove possibile, fornendo il proprio contributo per un migliore ed effettivo sistema dei versamenti IRPEF.