La riforma fiscale tocca tutti gli elementi fondamentali del sistema tributario. In questa prospettiva, anche i risvolti sanzionatori dovranno essere rivisti sulla base dei principi e criteri direttivi contenuti nell'art. 20 della delega fiscale. L'intervento sulle sanzioni si sostanzia, a ben vedere, in un completamento della precedente revisione del 2014, attuata nel 2015, con cui sono stati fatti significativi passi in avanti sul piano della proporzionalità della reazione punitiva dell'ordinamento rispetto alle violazioni commesse dal contribuente. Con la nuova riforma, si vuole, quindi, ulteriormente migliorare l'impianto complessivo delle sanzioni, tentando di smussare quei punti rimasti critici, anche nella prospettiva di rendere il nostro paese più attrattivo per gli investitori esteri; l'attrattività è correlata non solo al livello di tassazione, ma anche all'entità dei rischi sanzionatori cui si va incontro in caso di commissione di violazioni.
Senza indugiare sulla disamina dei numerosi principi e criteri direttivi contenuti nella predetta norma, evidenziamo le più rilevanti modifiche apportate al testo originario nel corso dell'esame in Senato.
La non sanzionabilità degli omessi versamenti di tributi dichiarati in presenza di crediti del contribuente verso la PA
L'art. 20 della delega fiscale si arricchisce, innanzitutto, di un criterio direttivo grazie al quale il legislatore delegato potrà disciplinare la mancata applicazione di sanzioni nel caso di omessi versamenti di imposte dichiarate, qualora il contribuente vanti crediti nei confronti delle amministrazioni statali, certificati dalla piattaforma dei crediti commerciali.
Si rammenta che, in atto, esiste un ampio dibattito giurisprudenziale circa la non sanzionabilità degli omessi versamenti delle imposte dichiarate, in applicazione dell'esimente della forza maggiore, qualora la crisi di liquidità dell'azienda sia stata indotta dal mancato incasso dei crediti vantati dal contribuente nei confronti della PA. La giurisprudenza più recente è orientata a riconoscere la non punibilità del contribuente per impossibilità assoluta di porre in essere il versamento e quindi per mancanza della colpevolezza (Cass. n. 5467/2013 e Cass. n. 45197/2016); pertanto, il legislatore delegato dovrebbe recepire tale orientamento, intervenendo sull'art. 13 D.Lgs 471/97, dedicato al regime sanzionatorio degli omessi versamenti.
Razionalizzazione del rapporto tra processo penale e processo tributario sotto il profilo dell'accertamento dei fatti materiali
Con riferimento alla revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario, si è aggiunto un ulteriore criterio direttivo secondo cui nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all'accertamento dei fatti medesimi. L'idea è quella di allinearsi alle previsioni contenute nell'art. 652 c.p.c.
Sul punto occorre rammentare che l'art. 654 c.p.p. prevede l'efficacia extrapenale degli accertamenti di fatto del giudice penale nel processo civile e in quello amministrativo a condizione che: a) che l'accertamento del giudice terzo abbia ad oggetto i medesimi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale; b) che detti fatti siano ritenuti rilevanti per la decisione penale; c) che la legge extra penale non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa. In questo contesto, la giurisprudenza ha costantemente affermato che la sentenza penale sia di assoluzione che di condanna, rappresenta un elemento di prova dei fatti materiali contestati che deve essere oggetto di autonomo apprezzamento da parte del giudice tributario (Cass. pen. n. 1157/2021).
Orbene, alla luce del nuovo criterio direttivo, nel caso di assoluzione penale, il giudice tributario non sarà più libero di valutare autonomamente l'esistenza o meno dei fatti materiali oggetto di disamina nel processo penale, ma dovrà recepire gli esiti dell'accertamento penale. Ove il processo penale si concluda con una sentenza di condanna, il giudice tributario, invece, può valutare liberamente i fatti materiali che sono posti a base delle rettifiche fiscali.
Distinzione normativa tra compensazioni indebite di crediti non spettanti e inesistenti
Tra le modifiche apportate dal Senato spicca anche il criterio con cui si autorizza il legislatore delegato ad introdurre una rigorosa distinzione normativa tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti. Il tema, come è noto, è di grande attualità, in quanto negli ultimi anni per varie finalità si sta ricorrendo sempre più alla concessione di crediti di imposta agevolativi, i quali vengono utilizzati in compensazione. La distinzione tra tali tipologie di compensazioni indebite è presente a livello normativo esclusivamente sulle disposizioni sanzionatorie amministrative e penali. L'art. 13 D.Lgs 471/97, in particolare, prevede che “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli formali”. La vaghezza dell'espressione “presupposto costitutivo” ha determinato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che verrà risolto con un intervento delle Sezioni unite, richiesto dall'ordinanza interlocutoria n. 3784/2023 della sezione tributaria.
In ossequio a questo criterio direttivo, il legislatore delegato potrà intervenire sugli artt. 13 D.Lgs. 471/97 e 10 quater D.Lgs. 74/2000, recependo le conclusioni cui giungeranno le Sezioni unite.
Non punibilità del contribuente per adeguamento alle indicazioni del Fisco
Tale criterio direttivo intende rimediare al rischio che la presentazione della dichiarazione integrativa in aumento con il versamento della maggiore imposta fosse ostacolata dall'eventualità che il contribuente avrebbe dovuto comunque versare le sanzioni ridotte con il ravvedimento operoso. Per questa ragione, in presenza di una incertezza del quadro normativo, in atto conviene attendere la notifica dell'atto impositivo e chiedere al giudice la disapplicazione delle sanzioni. Ciò a ben vedere determina un danno per l'erario connesso al ritardo nell'acquisizione dell'imposta dovuta.
Alla luce di questo criterio direttivo, verrà modificato l'art. 13 D.Lgs. 472/97, prevedendo espressamente che il versamento della sanzione ridotta è escluso tutte le volte in cui la regolarizzazione, anche mediante la presentazione della dichiarazione integrativa, sia determinata dall'intenzione del contribuente di adeguarsi alle indicazioni elaborate dall'amministrazione finanziaria con documenti di prassi emanati dopo che il contribuente abbia posto in essere l'originario adempimento ed in presenza di un quadro normativo incerta. Fermo restando che la regolarizzazione di perfeziona con il versamento della maggiore imposta e degli interessi.
Conclusioni
In conclusione, le modifiche apportate dal Senato sono da accogliere positivamente, ma occorre segnalare che i principi e i criteri direttivi approvati il 12 luglio alla Camera avrebbero comunque consentito al legislatore delegato di intervenire in tal senso. Gli emendamenti approvati al Senato, infatti, rappresentano un coerente sviluppo o completamento delle scelte riconducibili ai principi e criteri indicati nella prima versione del disegno di legge, i quali - come detto - mirano a razionalizzare e rendere proporzionato il sistema sanzionatorio tributario.