lunedì 21/08/2023 • 06:00
La prescrizione e la stabilità reale: cos'è cambiato dopo la riforma del 2012 e la successiva del 2015? La Cassazione risolve il contrasto giurisprudenziale facendo decorrere la prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro e non più durante lo svolgimento dello stesso. Statuizione che si applica ai rapporti di lavoro instaurati successivamente al 2012.
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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 174/1972, ha introdotto il principio del differimento del decorso della prescrizione: in particolare, la Consulta ha stabilito che, nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro non fosse assistito da c.d. stabilità reale, la prescrizione decorresse dal giorno della cessazione del rapporto.
All'atto pratico, e molto più semplicemente: per i dipendenti assunti da datori di lavoro con più di 15 lavoratori in forza, la prescrizione decorreva, di mese in mese, durante lo svolgimento del rapporto; al contrario, per chi prestava attività lavorativa presso datori che occupavano sino a 15 dipendenti, la prescrizione cominciava a decorrere dopo la cessazione del rapporto (sia per dimissioni che per licenziamento).
Le differenze tra le due fattispecie erano, e sono tuttora, davvero note: in caso di licenziamento illegittimo, per i primi era prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, mentre per i secondi unicamente l'indennità risarcitoria.
Il principio enunciato dai Giudici della Consulta, che differenziava le ipotesi di stabilità reale da quella obbligatoria, trovava la sua ragione nel fatto che i lavoratori delle piccole realtà lavorative sarebbero stati esposti a possibili ritorsioni (o anche al licenziamento) nel caso in cui avessero avanzato richieste di differenze retributive, per quanto legittime, nel corso del rapporto di lavoro.
Al contrario, il lavoratore delle medie e grandi imprese era sufficientemente tutelato dalle reazioni del datore di lavoro, attraverso la tutela della reintegrazione nel posto di lavoro stabilità, in seguito all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento.
Nei rapporti di lavoro assistiti da tutela obbligatoria, quindi, il decorso iniziale della prescrizione – ovverosia il “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (ex art. 2935 c.c.) – veniva posticipato a quello in cui il lavoratore non avrebbe più avuto timore di ripercussioni negative, a seguito delle sue richieste, sulla continuità del rapporto di lavoro.
La successiva giurisprudenza si è poi uniformata a tale principio, quantomeno sino al 18 luglio 2012, allorché è entrata in vigore la Riforma Fornero (Legge 92/2012) che ha fortemente limitato la reintegrazione nel posto di lavoro (così come il successivo D.Lgs. 23/2015 – Jobs Act), relegandola ad ipotesi davvero marginali e tipiche (ad esempio in caso di licenziamento discriminatorio, ritorsivo o nullo poiché intimato in forma orale).
Nella giurisprudenza di merito si è pertanto subito posto il problema se la regola del differimento conservasse ancora una sua ragion d'essere in questo mutato quadro legislativo. Si sono quindi sviluppati due orientamenti giurisprudenziali contrapposti: vediamoli nel dettaglio.
Il contrasto di giurisprudenza
Secondo un primo indirizzo, quando il rapporto di lavoro è assistito dalla tutela reale, e quindi siano applicabili le tutele previste dall'art. 18 Legge 300/70, deve ritenersi che la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi inizi a decorrere in pendenza del rapporto, dal momento in cui il diritto può esser fatto valere.
Solo per fare un esempio di tale orientamento, si consideri la sentenza del Trib. Roma 21 maggio 2018 n. 4125, la quale ha ritenuto che: “In tema di prescrizione dei crediti retributivi, anche dopo la riforma introdotta dalla Legge 92/2012, permanendo la necessità che il licenziamento sia collegato ad esigenze specifiche e predeterminate e potendo, in difetto, il giudice rimuoverne gli effetti, deve ritenersi che il rapporto di lavoro nelle imprese che soddisfano il requisito dimensionale risulti comunque assistito da una "forza di resistenza" tale da giustificare il decorso della prescrizione in costanza di rapporto”.
Di segno completamente opposto il secondo orientamento, il quale ha ritenuto che, dopo l'entrata in vigore della Riforma Fornero, il decorso della prescrizione per i crediti di natura retributiva rimarrebbe sospeso sino alla cessazione del rapporto di lavoro, e ciò anche nei rapporti soggetti al regime del nuovo art. 18 Legge 300/70.
La ratio di tale orientamento risiede nel fatto che, in caso di licenziamento illegittimo, la tutela reintegratoria non è automatica più automatica, ma si alterna alla tutela risarcitoria. Significativa, al riguardo, la sentenza n. 1352/2021 della Corte d'Appello di Milano, la quale ha ritenuto che: “Il testo attualmente vigente dell'art. 18 Legge 300/70, a differenza di quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (commi 1, 4, 7), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (commi 5 e 6); ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. È pertanto ravvisabile la sussistenza di quella condizione di metus che, in base ai consolidati principi dettati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, esclude il decorso del termine prescrizionale in costanza di rapporto di lavoro”.
L'evidente contrasto della giurisprudenza di merito appena indicato è stato poi composto dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022, la quale ha deciso per la decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Il componimento del contrasto
Secondo la Cassazione, le modifiche apportate dalla Riforma Fornero e dal Jobs Act all'art. 18 Legge 300/70, hanno determinato il passaggio da un'automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza, ad un'applicazione selettiva delle tutele e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria).
La Corte afferma che, a prescindere dalla natura eccezionale (o meno) della tutela reintegratoria, non è seriamente controvertibile che essa, rispetto alla tutela indennitaria, abbia ormai un carattere recessivo.
Né tale quadro normativo risulta modificato a seguito delle pronunce della Corte costituzionale con le quali è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del nuovo testo dell'articolo 18, settimo comma, nelle parti in cui prevedeva, ai fini di reintegrazione del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, l'insussistenza “manifesta” del fatto posto alla base del recesso (Corte cost. n. 125/2022) e la mera possibilità (anziché l'obbligo) per il Giudice di disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro invece dell'indennità risarcitoria (Corte cost. n. 59/2021).
Infatti, tali pronunce, pur avendo esteso le ipotesi in cui può essere disposta la effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, non hanno reso quest'ultima la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione.
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