L'Agenzia delle Entrate pubblica la Risp. AE 2 agosto 2023 n. 412, con la quale interviene in merito all'aliquota applicabile alla cessioni di pasti.
Secondo le Entrate, il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento alle «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande».
Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l'altro, che l'aliquota agevolata del 10 per cento si applica alle «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove [...]».
Al riguardo, si rileva che l'articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio per il 2021) prevede che «la nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, (...) deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell'asporto».
Con la suddetta disposizione, il legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell'Iva, dell'attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto, in ordine alla quale, anteriormente, erano sorti dubbi se dovesse considerarsi quale ''cessione di beni'' o ''prestazione di servizi'' (in quanto somministrazioni di alimenti). Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e bevande viene inquadrato nell'ambito delle fattispecie assimilate alle prestazioni di servizi dall'articolo 3,secondo comma, n. 4) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972 e risulta caratterizzato dalla commistione di ''prestazioni di dare'' e ''prestazioni di fare''. Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare.
La diversa qualificazione incide ai fini della individuazione dell'aliquota Iva da applicare, in quanto la ''somministrazione'' è assoggettata all'aliquota Iva del 10 per cento, ai sensi del citato numero 121), mentre la ''cessione'' è assoggettata ad Iva con l'aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto. Gli alimenti e le bevande possono essere forniti tanto nell'ambito di una più ampia prestazione di servizi di ''somministrazione'', quanto nell'ambito di una mera cessione nel caso della mera vendita da asporto. La Corte di giustizia, nella sentenza relativa alle cause riunite C 497/09, C 499/09, C 501/09 e C 502/09 del 10 marzo 2011, ha chiarito che «al fine di stabilire se una prestazione complessa unica, quale quella oggetto delle varie cause di cui ai procedimenti principali debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti». In particolare, la Corte ha giudicato l'operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un'operazione di mera cessione avente ad oggetto «alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato».
In base a quanto sino ad ora esposto, pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell'ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall'Amministrazione finanziaria, una cessione di beni.
FONTE: Risp. AE 2 agosto 2023 n. 412