La CGT di Milano
La pronuncia n. 2587 della CGT di I grado di Milano (pubblicata il 10 luglio 2023) ha affrontato la questione della eleggibilità al regime dei cc.dd impatriati (art. 16 del D. lgs. n. 147/2015) di una contribuente che, rientrata dall'estero in Italia nel 2019 ed iniziato a lavorare presso la filiale italiana della multinazionale presso la quale aveva precedentemente lavorato in Brasile, nel febbraio del 2020, si vede negare il rimborso delle imposte assolte sui redditi prodotti nel territorio dello Stato nel 2020.
Cosicché la contribuente impugna il diniego del rimborso opposto dalla Direzione Provinciale dell'AE dinanzi la competente CGT, censurando la illegittimità del diniego; a propria volta l'AE, costituitasi in giudizio, oppone, ai fini della fruizione del regime agevolativo in questione, la necessità della sussistenza di un nesso tra il trasferimento della residenza in Italia e l'inizio dell'attività lavorativa in tale Paese. Nel caso in esame, secondo l'Ufficio, il trasferimento della residenza della contribuente, nel luglio 2019, non risulterebbe conseguente all'inizio di alcuna attività lavorativa, iniziata solo nel febbraio 2020, né al momento del trasferimento sarebbe stato formalizzato alcun pre-accordo o alcuna sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro in Italia: in altre parole occorrerebbe un “collegamento funzionale” tra il rientro in Italia e l'inizio di un'attività lavorativa.
Le argomentazioni opposte dall'AE sono ritenute non condivisibili dai giudici della CGT: infatti l'art. 16 del D. Lgs. n. 147/2015 subordina l'accesso al regime speciale (consistente in una detassazione pari al 70% dei redditi di lavoro dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e dei redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da parte di lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato) alle seguenti condizioni (comma 1):
la circostanza che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d'imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni;
lo svolgimento dell'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il predetto regime si applica anche ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all'UE, a condizione che con i Paesi in questione (segnatamente anche il Brasile) sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale. Occorre inoltre che i richiedenti siano in possesso di un diploma di laurea, che abbiano svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi ovvero abbiano svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream (art. 16, comma 2).
Dal punto di vista temporale, il beneficio viene riconosciuto a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 2 del TUIR e per i 4 periodi successivi (art. 16, comma 3): nel caso di specie sarebbe soddisfatto il requisito dell'iscrizione nell'Anagrafe della popolazione residente, il quale a sua volta richiede l'aver fissato la propria dimora abituale in quel Comune (per le persone non aventi fissa dimora, l'aver stabilito il domicilio nell'ambito di esso).
Si tratta di un requisito di tipo formale, reputato sufficiente a radicare la residenza nel territorio dello Stato (gli ulteriori 2 sono quelli della residenza e della dimora nel territorio dello Stato, ai quali si accompagna il requisito di ordine temporale, cioè che detti requisiti ex art. 2 sussistano per la maggior parte del periodo di imposta).
Così ricostruito nei termini di cui sopra il quadro legislativo attualmente in vigore, secondo i giudici l'argomento relativo all'esistenza del collegamento funzionale dell'AE avrebbe introdotto un requisito ulteriore e non previsto tra le condizioni previste per la fruizione del sopra riepilogato regime degli impatriati, così violando il principio costituzionale della riserva di legge: in particolare, va rimarcato che le norme agevolative sono soggette ad un'interpretazione restrittiva, non potendo la prassi limitare benefici fiscali oltre i limiti previsti dal legislatore (così come non può applicare il beneficio oltre i casi espressamente previsti dalla legge stessa).
I giudici richiamano un “collegamento logico – temporale”, utilizzato al fine di correttamente ricostruire gli accadimenti:
la risoluzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della filiale brasiliana è avvenuta nel 2019;
contestualmente è avvenuta l'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente nel luglio dello stesso anno (e la ricorrente è rimasta fiscalmente residente in Brasile per l'intero periodo di imposta);
il trasferimento della residenza in Italia ha avuto efficacia a partire dal 1° gennaio 2020.
Il lasso temporale di 6 mesi trascorsi tra l'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente e l'inizio dell'attività lavorativa è reputato compatibile con le esigenze connesse al trasferimento della contribuente e della sua famiglia in Italia (quali l'apprendimento di una nuova lingua, certificato dalla frequenza di un corso ad hoc), pertanto si tratterebbe di una mera circostanza fattuale, che nulla ha a che vedere con i requisiti richiesti per l'accesso al regime, ritenuti sussistenti nel caso di specie.
La pronuncia si pone all'interno di un filone giurisprudenziale favorevole per i contribuenti che intendano fruire dell'agevolazione in commento, in quanto volte a interpretare i requisiti di cui all'art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, tutelando gli stessi da interpretazioni ultra legem da parte dell'AE.
La risposta ad interrogazione parlamentare
In risposta al question time 5-01137 del 19 luglio 2023, il MEF ha, inoltre, fornito chiarimenti in ordine al regime fiscale speciale applicabile ai lavoratori impatriati.
Nel dettaglio, il MEF precisa che devono ritenersi in ogni caso esclusi dalla possibilità di esercizio dell'opzione coloro che, benché beneficiari, al 31 dicembre 2019, del regime speciale per i lavoratori impatriati:
non sono stati iscritti all'AIRE;
sono cittadini extra-comunitari anche se beneficiari del regime speciale per i lavoratori impatriati.
In conclusione, la mancata iscrizione all'AIRE preclude al contribuente la possibilità di esercitare l'opzione per la proroga del regime speciale per i lavoratori impatriati.
Fonte: CGT I Milano 10.7.2023 n. 2587