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sabato 01/07/2023 • 06:00

Lavoro Festival del Lavoro 2023

Il rapporto sistematico tra legge e contrattazione collettiva

La relazione tra la legge e il contratto collettivo è un tema ricorrente in dottrina e sul piano applicativo; argomento, trattato nel corso del Festival del Lavoro 2023, di particolare interesse in un sistema come quello italiano, nel quale il contratto costituisce lo strumento di attuazione dell'autonomia negoziale, con funzione regolatoria degli interessi delle parti e implementativa dei precetti legali.

di Mario Cassaro - Consulente del lavoro in Latina

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  • Tempo di lettura 1 min.
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La formulazione delle regole che governano le relazioni di lavoro, rappresenta il ruolo tradizionale svolto dall'autonomia collettiva, in attuazione dei principi generali di tutela del lavoro stabiliti dalla Costituzione.

Le norme sul lavoro fanno spesso riferimento alla contrattazione collettiva, e nel corso del tempo, il legislatore ha stabilito regole che vi si richiamano sistematicamente, non solo per migliorare i livelli minimi di tutela stabiliti dalla legge stessa, ma anche per specificare o integrare gli aspetti essenziali del rapporto di lavoro. Il ruolo predominante della contrattazione collettiva trova la sua giustificazione nella maggiore autonomia di regolamentazione delle condizioni di lavoro, che le consentono, talvolta, di derogare o addirittura disapplicare disposizioni imperative.

Si ritiene, infatti, che le parti coinvolte nella contrattazione collettiva, come i sindacati e i datori di lavoro, abbiano una conoscenza più diretta e dettagliata delle rispettive esigenze. Questo approccio riflette la volontà del legislatore di promuovere la flessibilità e l'autonomia delle parti coinvolte, consentendo loro di adattare le regole del lavoro alle specifiche esigenze del settore o dell'azienda, attraverso la negoziazione, entro il perimetro dei principi di tutela fondamentali. Nel tentativo di sintetizzare, e senza pretese di esaustività, il rapporto intercorrente tra legge e contrattazione collettiva si può riassumere nella descrizione di alcuni particolari meccanismi di rinvio.

In molti casi, la legge adotta la tecnica del rinvio ai contratti collettivi, dettando disposizioni generali che necessitano di essere specificate nei diversi contesti lavorativi e settoriali. In sostanza, la legge affida alla contrattazione il compito di integrare le norme in essa contenute (ad esempio nel contratto di apprendistato di cui al D.Lgs. 81/2015, artt. 41 ss; oppure nel più recente DL 48/2023 che, all'art. 24, ridisegna la disciplina in materia di contratto a termine affidando alla contrattazione collettiva il compito di individuare le ipotesi che giustificano l'apposizione di un termine al contratto, di fatto superando le rigidità previgenti). In alcune materie, come ad esempio quelle relative al riposo giornaliero, alle pause, al lavoro notturno e alla durata massima settimanale del lavoro, il rinvio si estende fino ad attribuire alla contrattazione collettiva il potere di stabilire regole diverse da quelle previste dalle norme di legge (cfr. art. 17, comma 2 del D. Lgs. n. 66/2003). Talvolta, invece, la legge dispone semplicemente una norma di carattere suppletivo, applicabile in assenza di specifiche disposizioni contrattuali (è il caso dell'art. 19, c. 1, D.Lgs. 81/2015 novellato dal citato art. 24, c. 1, DL 48/2023, che in assenza di previsioni collettive consente, sebbene per un periodo limitato, l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato di durata superiore a dodici mesi, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti qualora i contratti collettivi non prevedano la tipizzazione delle causali; o ancora, l'art. 5 della legge n. 223/1991 che condiziona l'individuazione dei lavoratori da licenziare ai criteri previsti da contratti collettivi ovvero a particolari presupposti qualora manchi tale disciplina). In altri casi, infine, la legge può autorizzare esplicitamente la contrattazione collettiva a disapplicare disposizioni imperative; pertanto, sulla base di accordi collettivi negoziati tra le parti, determinate disposizioni normative possono essere modificate o non applicate, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi generali di tutela del lavoro (a titolo esemplificativo si possono citare gli artt. 3 e 16, D.Lgs. 66/2003 che legittimano l'autonomia collettiva a derogare alla disciplina generale dell'orario di lavoro, ovvero l'art. 23, c. 1, D.Lgs. 81/2015 che riconosce ai contratti collettivi la competenza di modificare la clausola di contingentamento dei contratti a tempo determinato).

Riassumendo, il nostro ordinamento giuridico considera la contrattazione collettiva una fonte essenziale affinché le disposizioni di legge possano produrre i loro effetti e funzionale, in quanto strumento di flessibilità verso il basso, per una più attenta definizione delle condizioni applicabili ai rapporti di lavoro.

Cenni sulla funzione della contrattazione collettiva e sul suo riconoscimento

La questione della collocazione del contratto collettivo nel sistema delle fonti del diritto è stata spesso oggetto di dibattito. Pur essendo un atto di autonomia privata e privo di forza di legge, il contratto collettivo assume un ruolo importante nell'ordinamento giuridico per la disciplina dei rapporti di lavoro, in quanto il legislatore non può regolare in modo esaustivo tale materia a livello di fonti primarie, lasciando spazio, per l'appunto, all'autonomia collettiva, riconosciuta dalla Costituzione (art. 39, primo comma) con competenze modificative o integrative.

Sebbene il quadro di riferimento sociale ed economico sia più volte mutato rispetto al 1948, il contratto collettivo mantiene la funzione di strumento per la realizzazione dei principi costituzionali con i quali il sistema italiano di relazioni industriali si è sviluppato ed è cresciuto, nel rispetto del fondamentale principio di libertà sindacale. La contrattazione è espressione della libera autonomia privata, tuttavia, la legge non conferisce alle parti lo svolgimento di funzioni pubbliche o il compito di perseguire interessi di natura pubblica. La contrattazione collettiva, pur avendo rilevanza nell'ordinamento statuale, è un'attività svolta da soggetti privati (organizzazioni sindacali e rappresentanti del mondo datoriale). In sostanza, con il riferimento alla contrattazione collettiva, il legislatore riconosce il valore della negoziazione per la composizione di interessi privati, ancorché collettivi, che si identifica, a sua volta, nell'interesse pubblico. La fonte di diritto oggettivo della regolazione del contratto di lavoro è la legge e il rapporto tra quest'ultima e il contratto collettivo è stato tradizionalmente ricondotto al binomio dell'inderogabilità in peius e della derogabilità in melius. L'inderogabilità nel rapporto di lavoro, intesa come impossibilità di derogare a determinate norme o condizioni contrattuali, è una misura che mira a raggiungere due obiettivi principali. In primo luogo, l'inderogabilità cerca di preservare i beni e gli interessi di rilevanza costituzionale all'interno del contesto lavorativo. Ciò significa che alcune disposizioni o condizioni contrattuali non possono essere negate o modificate tramite negoziazione o accordo tra le parti. Queste norme sono considerate fondamentali per la tutela dei lavoratori e la salvaguardia dei loro diritti fondamentali, come ad esempio il diritto alla sicurezza sul lavoro, il diritto alla retribuzione equa e il divieto di discriminazione. L'inderogabilità assicura che tali principi siano garantiti in modo uniforme e non possano essere compromessi o elusi attraverso negoziazioni individuali. In secondo luogo, l'inderogabilità mira a riequilibrare un rapporto contrattuale che è considerato intrinsecamente asimmetrico, per capacità di negoziazione e influenza. L'inderogabilità impedisce che questa asimmetria si traduca in condizioni di lavoro svantaggiose o in una violazione dei diritti dei lavoratori.

Concludendo, nella consapevolezza che il tema meriterebbe una più approfondita analisi, il contratto collettivo, pur essendo un atto che deriva dalla libera autonomia delle parti coinvolte, non ha forza di legge e non può essere considerato una fonte primaria del diritto perché ciò presupporrebbe l'attribuzione di una potestà normativa alle parti stipulanti. Tuttavia, in un quadro di crescente elasticità del mercato del lavoro e di sostanziale decentramento delle fonti regolatorie, tale contratto, a ben vedere, è sempre più utilizzato per regolare una materia che il legislatore non può compiutamente regolare con le fonti primarie.

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