Lo abbiamo ripetuto più volte su QuotidianoPiù: “includere” significa assecondare i bisogni di ciascun lavoratore. Creare “accomodamenti” a loro misura.
A questa funzione, sono naturalmente vocati il welfare, personalizzato sulle esigenze della persona, e lo smart working, con l'obiettivo di conciliare i tempi di vita e lavoro. Esploriamone le ragioni.
La personalizzazione del welfare
Nato per la soddisfazione dei bisogni della collettività aziendale, il welfare ha scoperto, con la pandemia causata dal Covid-19, una forte vocazione a “personalizzarsi”.
Le aziende hanno offerto una gamma di servizi tarati non a misura delle esigenze della collettività ma di quelle che, singolarmente, i lavoratori hanno registrato nelle loro abitazioni, nei loro quartieri. Nei luoghi da cui essi si sono connessi per prestare attività lavorativa.
Ne sono un esempio i servizi di fac totum per l'espletamento delle incombenze quotidiane, di ristorazione a domicilio, di intrattenimento dei figli nei giorni di assenza scolastica.
A questa logica si è inspirata la stessa modifica dell'art. 51 TUIR che ha riconosciuto alle aziende la possibilità di farsi carico del pagamento delle utenze domestiche, di luce, acqua e gas, dei dipendenti. Un riuscito esempio, in altre parole, di welfare retributivo. Il limite originario di euro 600,00 è stato infatti innalzato ad euro 3.000,00 dal DL 48/2023, c.d. Decreto Lavoro.
Al contrario, in tutti quei contesti produttivi che non hanno colto la sfida del secondo welfare, i lavoratori sono rimasti schiacciati sotto il peso della contemporanea cura degli affari familiari e di quelli lavorativi. Il fenomeno ha interessato principalmente le lavoratrici.
Lo smart working e la conciliazione dei tempi vita lavoro
Passiamo allo smart working. Attualmente, esso si impone come il principale strumento di conciliazione dei tempi di vita e lavoro per i padri che hanno esigenze di accudimento di figli non ancora in età scolare, o comunque in stato di malattia o nella necessità di assistenza per le numerose incombenze legate alla crescita. Stesso discorso vale per chi accudisce persone anziane, per i lavoratori fragili, ovvero quei lavoratori over cinquanta con patologie pregresse, che scontano maggiori ostacoli fisici per raggiungere il posto di lavoro. In generale, ad essere interessati sono 4 milioni di lavoratori: 860.000 in ambito pubblico, 1,77 milioni nelle grandi imprese, 630.000 nelle piccole e medie imprese e 810.000 nelle micro-imprese.
A consacrare questa spiccata vocazione al work life balance è stata la legge stessa. Il c.d. Decreto Lavoro ha prorogato al 31 dicembre 2023 il diritto allo smart working in favore dei lavoratori fragili e dei genitori di figli under 14 mentre già il DL 105/2022 raccomandava una priorità all'accesso allo smart working per i genitori di figli under 12, per i genitori di disabili senza limiti di età ai sensi dell'art. 3, c. 3, Legge 104/92, per i lavoratori con disabilità gravi ai sensi dell'art. 4, c. 1, della medesima legge e per coloro che si prendono cura di familiari disabili ai sensi dell'art 1, c. 255, Legge 205/2017.
In definitiva, è ormai chiaro un dato.
A realizzare gli obiettivi di inclusione sono chiamati, a gran voce, imprese e sindacati. La legge, solitaria, omologatrice, generale ed astratta, non basta. Ha compiuto il suo tempo.
C'è bisogno di quelle “sentinelle” del territorio, come li definiva Adriano Olivetti, che hanno conoscenza diretta delle persone e delle loro diversità.
È nelle loro mani che è riposto il futuro dell'inclusione.
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Per approfondire il tema, vedi "Diversità e Inclusione. Gli impatti nella realtà lavorativa e le nuove regole per la certificazione per la parità di genere” a cura di Ciro Cafiero.
Giuffrè Francis Lefebvre sarà presente al Festival del Lavoro 2023.
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